Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Vuoto – Tra le numerose proposte riguardanti l’etimologia della parola vuoto, quella più accreditata la fa derivare dal latino volgare vac tus/vacuàtus (vuoto), participio passato di vac re/vacuàre (vuotare). Il significato di questa parola varia comunque a seconda dell’ambito in cui viene utilizzata. Le polarità sono rappresentate dall’uso che se ne fa nella Fisica e dal significato che la parola assume in ambito esistenziale.
L’horror vacui o l’aristotelica Natura abhorret a vacuo, in polemica con la fisica democritea, afferma l’inesistenza di spazi vuoti: la natura – appunto – aborre dal vuoto. Secondo lo Stagirita, quando da un luogo viene tolta tutta la materia producendo il vuoto, immediatamente nuova materia vi si deposita per colmarlo. La Fisica moderna definisce il vuoto come uno stato di energia minima nello spazio dove valore e velocità del campo sono pari a zero. Insomma, uno stato abitato da particelle e antiparticelle.
Nella filosofia tedesca – si pensi, ad esempio, a Schopenhauer e Nietzsche – il vuoto coincide con il “nulla” definito appunto come “vuoto” di senso, di fine o di valori. Il “vuoto” può addirittura essere un’aspirazione, se è vero che «Una meta si proponeva Siddharta: diventare vuoto, vuoto di sete, vuoto di desideri, vuoto di sogni, vuoto di gioia e di dolore. Morire a se stesso, non essere più lui, trovare la pace del cuore svuotato, nella spersonalizzazione del pensiero rimanere aperto al miracolo, questa era la sua meta» (H. Hesse).
Abbiamo, qui, l’apertura a un significato positivo della parola in esame: il “vuoto” come condizione previa per essere raggiunti e riempiti da qualcosa di più grande e di veramente pieno. Secondo un maestro hindu «Lo stato di vuoto mentale non è la demenza dell’idiota, ma l’intelligenza sommamente attenta, non distratta da pensieri estranei». Il “vuoto” quindi come serbatoio di infinite possibilità; un addio che diventa rinascita, un silenzio che diventa musica, un tempo che diventa vita. Il vuoto cercato, accolto e custodito non è mancanza. È spazio denso, carico di dolore e di aspettative, di prospettive e di risorse. È spazio di libertà e di creatività. Può essere inizio di vita autentica e grembo di vita piena.
A patto che siamo disposti a non privarci della «forza del vuoto, del privilegio della solitudine, della ricchezza della contemplazione e del lusso impagabile della distrazione» (A. Casati), diradando la fitta foresta di impegni e tornando a vivere nel regno dell’autentico. Insomma, «Disegnare la radura per fare spazio allo spazio, per tenere vuoto il troppo pieno» è il nostro piccolo miracolo giornaliero.