Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
«La parola vocazione è troppo logora per l’abuso che se ne fa correntemente» (E. Mounier). E il primo abuso lo si consuma quando si rinchiude la parola vocazione nell’ambito religioso o in ambiti a esso più o meno riconducibili. La si priva così della forza che rappresenta per la vita di chiunque non intenda rinunziare alla piena e consapevole realizzazione di sé.
La vocazione è «principio vivente e creatore» (Mounier) e non una sorta di livrea che, per quanto bella ed elegante, omologa. Lasciando fuori, quasi con fastidio, le tante dimensioni della persona non facilmente integrabili nei modelli di vita conosciuti o comunque condivisi. Non è un ideale precostituito – e talvolta astratto – al quale si cerca di adeguare pensieri, scelte e comportamenti. È piuttosto scoperta progressiva di ciò che dà loro senso e unità. Non riducendo ciò che essa integra, ma salvandolo, compiendolo e ricreandolo dall’interno.
Ogni vita finisce così per essere un impegno costante, teso alla realizzazione mai compiuta della propria vocazione. È questo che conferisce alla vocazione il dinamismo che la fa crescere. Grazie a un continuo discernimento attraverso i «personaggi» che in maniera più o meno consapevole interpretiamo.
L’etimologia della parola vocazione ci costringe a uscire da una visione intimistica della stessa. Quasi debba trattarsi di una sorta di self service esistenziale. All’origine del termine vocazione c’è infatti il verbo latino vocare (chiamare), che mette in gioco due soggetti: uno che chiama e un altro che viene chiamato.
Trovo di una efficacia straordinaria e di una sorprendente delicatezza il modo in cui C.S. Lewis – autore delle Cronache di Narnia – descrive la dinamica del rapporto tra chi chiama e chi è chiamato. Nel penultimo libro, La sedia d’argento, la piccola Jill rimane affascinata dal racconto di Eustachio, che è tornato trasformato da Narnia e dall’incontro col Grande Leone Aslan. Incuriosita, parte anche lei alla ricerca di un incontro che possa sottrarla alla sofferenza procurata da forme di insopportabile bullismo. Il racconto di Eustachio, la decisione di intraprendere il viaggio e il dialogo con Aslan sono momenti decisivi per permettere alla piccola Jill di riprendere in mano la propria vita e realizzare in pienezza la sua vocazione.
Per chi crede, c’è Qualcuno che chiama a uscire dall’anonimato e invita a elaborare una risposta personale, inimitabile e mai generalizzabile. Per tutti, la vocazione è la somma delle risposte – anche quelle meno esaltanti – che consapevolmente diamo al cuore, alle attese e ai bisogni, nostri e delle persone che incontriamo.