Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Verità – Una prima derivazione della parola verità rimanda al sanscrito vrtta (fatto realmente accaduto). Un’altra interpretazione fa derivare la parola verità dalla radice var, che nello zendo (la lingua dei testi sacri zoroastriani dell’antico Iran) vuol dire credere, scegliere. Mentre la prima radice rimanda a una realtà oggettiva esistente, la seconda colloca la verità in un orizzonte etico e, in senso lato, spirituale.
Ha origini molto antiche il dibattito sul significato di verità e sulla Verità, impegnando filosofi, teologi ma anche scienziati. Si può dire che la storia della Filosofia sia storia della ricerca della verità. Alcuni approcci la considerano accessibile al pensiero, altri la considerano del tutto irraggiungibile. Tra i primi ricordiamo Socrate, Platone e Aristotele; fino a giungere alla formula che dà ragione, secondo alcuni, del sofisticato platonismo di Tommaso d’Aquino: «Veritas: Adaequatio intellectus ad rem. Adaequatio rei ad intellectum. Adaequatio intellectus et rei».
Altre correnti filosofiche considerano l’intelletto umano tanto limitato da essere capace di conoscere solo alcune verità, ma non la Verità (E. Kant).
Nella logica matematica, la «tavola di verità» è un quadro sistematico di valori che permette di determinare meccanicamente il valore di una formula o di un enunciato.
Il pragmatismo che caratterizza i nostri giorni, quando non può far coincidere la verità con l’applicazione di una formula, fa allineare il concetto di verità a quello di utilità o, peggio, di comodità. Si sente allora parlare di verità scomode, che sollecitano un nostro impegno e necessitano di una presa di posizione, nostro malgrado. Quando questi mancano, si finisce per nascondersi dietro le menzogne, dimenticando che «in tempi di menzogna universale, dire la verità è un atto rivoluzionario » (G. Orwell). Ma ciò richiede coraggio; un valore che solo l’essere nella verità può dare, rendendo forti e inattaccabili. Ce ne dà conferma A. Moro quando scrive: «Quando si dice la verità non bisogna dolersi di averla detta. La verità è sempre illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi».
Sul difficile rapporto tra il desiderare la verità e vivere nella verità può tornare illuminante quanto si legge nella Bibbia. Qui, la figura che impersona la verità (emeth) è Mosè, posto, in alcuni episodi, quasi in alternativa ad Aronne che impersona la pace (shalom). Mentre questi sembra pronto a ogni compromesso per raggiungere la pace; Mosè, pur avendo a cuore il popolo ebraico, applica con rigore la legge nei confronti di coloro che non seguono i comandi del Signore. Così, quando si chiedono quale sia la strada che l’uomo deve seguire, i Maestri della legge non hanno dubbi nel proporre la figura di Aronne. Gli stessi notano che, alla morte di Aronne «tutta la Casa d’Israele lo pianse per trenta giorni», mentre per Mosè è scritto che «i figli d’Israele (quindi… non tutti) lo piansero».
È proprio vero: gli uomini che perseguono la verità non sono certo i più amati.