Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
La veracità è il contrario della menzogna esistenziale. È il contrario della scelta consapevole di eludere, di rinunziare a porsi di fronte agli avvenimenti e ai volti. Per vivere nella menzogna non c’è bisogno di bugie dette con la bocca. Basta far propri i tanti «buoni motivi» che portano a fuggire dalla realtà. Per esempio, quella di una persona in evidente difficoltà. Semmai invocando principi universali, esigenze di valore assoluto, argomentazioni ben architettate e anche teologicamente ineccepibili. In esse non c’è spazio per gli occhi spaventati di quegli uomini e di quelle donne che si trovano in gravi situazioni. Non c’è tempo per dare un nome a chi ci si ostina a considerare «carico residuale» o scarto della storia.
La veracità toglie gli occhiali che travisano la realtà. Le restituisce tutta la bellezza, ma anche tutta la sua drammaticità, tanto da esigere sempre una presa di posizione. Il verax (verace), anche etimologicamente, deriva da verum (vero) e ad esso attinge in massimo grado. Si può dire che la veracità è costruita a rinforzo del vero ed esprime la conformità di gesti e scelte esteriori con il proprio vissuto interiore, con i propri pensieri e con i propri sentimenti. Di questi, la veracità è segno. Fatta per lo più di poche parole o, forse, di nessuna.
È una pianta che cresce solo «nel silenzio e nella solitudine» (R. Guardini, Lettere sull’autoformazione), senza la pretesa ricercata di dare lezioni. Cresce con un’unica pretesa: non mancare all’appuntamento con tutto ciò che chiede attenzione.
È questo il terreno di coltura della veracità. Da una parte, domande, mani tese, ferite che sanguinano, gioie che tendono a esplodere; dall’altra, attenzione, voglia di esserci per non eludere. È questo incontro che rende verace un’esistenza e sostituisce le logiche di calcolo meschino con una luminosità che non acceca, ma illumina e contagia. Proprio perché rinunzia allo scostante voler sapere tutto meglio e al sottolineare in maniera ossessiva sé stessi. Attraverso affermazioni enfatiche, racconti insopportabili, recite ripetitive e sguardi senz’anima.
L’esistenza verace non è al riparo dalla prova della solitudine in cui può essere ricacciata da domande e dubbi sulla strada che si sta percorrendo. Soprattutto quando lo si fa con discrezione e senza tramutare la propria veracità in una clava da brandire, nemmeno nei confronti di chi vive apertamente in maniera inautentica. La persona verace spesso dubita di non essere all’altezza. Questo farà crescere in lei il bisogno di prendersi pazientemente per mano e di fare altrettanto con gli altri.