Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
La Rivoluzione francese rappresenta certamente una tappa fondamentale nell’affermazione dell’idea di uguaglianza in età moderna. Compare tra i diritti dell’uomo nella Dichiarazione del 1789, poi confermato nello stesso documento rielaborato nel 1793, con l’aggiunta che lo Stato debba l’impegnarsi a garantirne l’attuazione.
Non è di poco conto la differenza con quello che invece sancisce la nostra Costituzione. Qui l’uguaglianza non è uno dei diritti della persona, fosse anche il primo. L’uguaglianza è posta piuttosto a fondamento di ogni altro diritto: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali …» (art. 3). È in forza della pari dignità che va garantita a tutti libertà nelle scelte e nell’esercizio dei diritti e dei doveri.
Il problema sorge quando queste affermazioni entrano in contatto con la realtà. Questa infatti non smette di dirci che l’uguaglianza, come altre condizioni della triade laico-moderna (libertà e fraternità), non s’impone grazie a decreti, per quanto ben strutturati. Anzi, quando ci si incammina in maniera pervicace sulla strada di generiche affermazioni di principio e di stucchevoli proclami, l’uguaglianza rischia di trasformarsi in ideologia o di essere confusa con la omologazione e l’uniformità.
Se può avere un senso auspicare e celebrare la condizione di uguaglianza tra le persone, questo risiede solo nel non separarla dal riconoscimento della originalità di ognuno. Come negare infatti le diverse condizioni di partenza, le diverse capacità di ognuno, le diverse opportunità offerte anche dalle circostanze? Promuovere, allora, e garantire l’uguaglianza è spendersi per creare concrete condizioni perché le differenze possano vivere, convivere, svilupparsi e contaminarsi a vicenda. È, d’altra parte, il senso di quanto si legge sempre nell’art. 3 della Costituzione: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Stiamo assistendo, oggi più che mai, al fallimento della promessa e della ricerca dell’uguaglianza. Un evidente paradosso: al proclamato riconoscimento delle diversità corrisponde sempre più una diffusa disparità sociale, culturale ed economica tra gli appartenenti alla collettività. Tanto da rendere cinicamente vera, anche se nata in contesto diverso, la considerazione di G. Orwell: «Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri» (La fattoria degli animali).