Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Victor Hugo, nei Taccuini, lo afferma dei luoghi comuni; ma la sua considerazione vale anche per gli stereotipi: «Ogni pensatore che vorrà diventare oratore, muovere le masse, dominare le assemblee – scrive il padre del romanticismo francese – non avrà da far altro che passare dalla ragione delle idee al dominio dei luoghi comuni».
Come i luoghi comuni, gli stereotipi sono strumenti facili da maneggiare. Frutto, per lo più, di un cervello che opera al risparmio. Non domandano competenze specifiche, non richiedono sforzo di conoscenza delle persone e della realtà; né, tantomeno, il desiderio di vederle crescere o cambiare. Alla lunga, anche nella vita pubblica, gli stereotipi si rivelano essere potenti meccanismi psicologici di autoassoluzione.
La parola stereotipo deriva dal greco antico στερεός (stereós), che significa solido/fisso, e τύπος (týpos), che significa forma, impronta o modello.
Come termine, nasce a fine Settecento in ambiente tipografico. è il nome dato agli stampi di cartapesta rigidi o alle matrici in metallo, usati per la riproduzione dello stesso testo o immagine senza dover comporre di nuovo.
Nel Novecento, il giornalista statunitense Walter Lippmann introdusse il termine stereotipo nelle scienze sociali, estendendone il concetto. Lo stereotipo, così, diventa la rappresentazione rigida e semplificata di un gruppo di persone o di una situazione. Applicata in modo acritico e incurante delle differenze e dei cambiamenti che quella moltitudine di fatto presenta al suo interno.
Nel linguaggio comune la parola stereotipo si trova sovrapposta a pregiudizio. È errata questa sovrapposizione, perché gli stereotipi non implicano necessariamente un giudizio di valore. I pregiudizi invece portano sempre con sé una valutazione, positiva o negativa e, sulla base di essa, orientano le azioni delle persone nei confronti dei gruppi sociali a cui sono rivolti.
La facilità con la quale si diffondono gli stereotipi non autorizza a demonizzarli. Per certi versi, essi sono espressione della nostra tendenza – a volte della necessità – di semplificare, generalizzare e astrarre. Operazioni mentali che contribuiscono a darci un primo orientamento nelle relazioni e nelle situazioni della vita. Bisognoso sempre però – questo primo orientamento – di un esercizio continuo e complesso di verifica, per non trasformare gli stereotipi nell’unica fonte di conoscenza. In questo caso, gli stereotipi diventano le comode scorciatoie che la nostra mente mette in atto per non affrontare la complessità della realtà. Gabbie rigide che impediscono di osservare, comprendere e scoprire nuovi orizzonti.