Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
L’eclettico J. Attali, nel suo Lessico per il futuro, vede nello sport «una delle attività destinata a divenire essenziale per la ricchezza di una nazione. Si costruiranno imprese di portata mondiale per vendere e sponsorizzare tutto ciò che rimanda, anche lontanamente, allo sport».
Previsioni in larga parte realizzatesi, che lasciano mestamente sullo sfondo la definizione data dello sport dal Consiglio d’Europa. Tale è considerata dall’organismo europeo qualsiasi forma di attività fisica che, attraverso una partecipazione organizzata o non, abbia per obiettivo l’espressione o il miglioramento della condizione fisica o psichica, lo sviluppo delle relazioni sociali o l’ottenimento di risultati a tutti i livelli. Lo sport è riconosciuto cioè come settore vitale per l’educazione, sulla scia di quanto già Platone afferma nella Repubblica: «Dopo la musica i giovani vanno formati con la ginnastica». Lo sport infatti, oltre a generare attitudini, contribuisce all’interazione tra individui e al superamento di qualsiasi genere di discriminazione. A cominciare da quella che Aristotele, pur favorevole alle attività sportive, avanzava nei confronti delle donne, non dotate, secondo lui, della necessaria phrònesis, la qualità di saggezza pratica ritenuta prevalentemente maschile.
L’antichità è testimone comunque dell’atteggiamento ambiguo e contraddittorio sviluppatosi nei confronti dello sport e mai completamente sopito. A parte il rifiuto assoluto degli spettacoli sportivi che s’incontra in Seneca e, per un certo periodo, nel cristianesimo, le riserve vengono variamente motivate. Accanto a chi vede nello sport un mezzo di repressione sociale e l’atleta come soggetto alienato, c’è chi considera lo sport una tipica evasione dalle proprie responsabilità o di rifiuto della società. Una maniera insomma per tenersi alla larga dall’integrazione e per nutrire forme di innato narcisismo.
Oggi prevale una lettura positiva del ruolo che lo sport riveste nel restituire armonia e centralità alla vita del singolo e alle dinamiche sociali. Non è del tutto estraneo a ciò il contributo proveniente dalla riscoperta della corporeità e da una visione integrale della persona. Soprattutto nella forma prospettata dallo storico olandese J. Huizinga, col suo Homo ludens, dall’indirizzo fenomenologico-esistenzialista e dalla tradizione filosofica neoebraica, a cominciare da E. Lévinas.
Un contributo organico al superamento di visioni parziali del ruolo dello sport nella vita del singolo e in quello della comunità è offerto dalla giovane disciplina della Filosofia dello sport, titolo di un saggio di E. Isidori e H. Reid.