Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Agli inizia degli anni 60, il teologo K. Rahner ha parlato di “cristiani anonimi”, riferendosi a quanti, senza professarsi tali, di fatto vivevano nell’orizzonte della proposta e dei valori del cristianesimo.
Penso possa dirsi la stessa cosa oggi delle parole sinodo e sinodalità, fin troppo frequenti nel linguaggio ecclesiastico. Ma presenti implicitamente, e quindi in forma anonima nelle aspirazioni più che nelle scelte concrete, anche in ambienti estranei o comunque non direttamente riconducibili alla comunità ecclesiale.
La parola sinodo deriva dal tardo latino synŏdus e dal greco σύνοδος. Composto dalla particella syn (insieme) e odos (via, cammino). Traducibile con adunanza, convegno, concilio/conciliarità. Ma, ancora più correttamente, con “camminare insieme”. σύνοδος, nell’antica Grecia, era l’organo legislativo interno alla lega achea, costituitasi in età ellenistica (dal 280 a.C. al 146 a.C.) tra le città greche del Peloponneso centro-settentrionale.
Il contesto ecclesiastico, che sembra aver assunto da qui la parola sinodo, in verità non sempre ha contribuito a liberare questo termine da una certa ambiguità o comunque da equivoci e strumentalizzazioni alle quali si è trovato e può ancora trovarsi esposto.
Nella Postfazione a Piccola scuola di sinodalità A. Melloni parla di “stucchi sinodali” quando si riferisce agli atteggiamenti che tendono a svuotare dall’interno la forza di una parola e di una esperienza che può davvero, se rettamente intesa, restituire vita piena a qualsiasi realtà. Non solo ecclesiale. Gli “stucchi”, che sviliscono la forza innovatrice e il dinamismo che la sinodalità è in grado di innescare, possono essere resi con immagini di solito circolanti o comunque facilmente comprensibili. Lo storico del cristianesimo evoca la sinodalità deodorante, multivitaminica, sentimentale e quella che provoca una sorta di labirintite, che riduce cioè l’esperienza sinodale a un profluvio di parole, per lo più incerte nei loro significati pastorali.
Si superano queste vere e proprie patologie della sinodalità e si garantisce la crescita di semi di vita e di verità, di sogni e di speranze solo se ci libera da tutte le forme di rozza e interessata chiusura. Facendo cioè spazio al diffuso desiderio di camminare e crescere insieme. Nella società civile e nella stessa Chiesa. In quest’ultima, lasciando agire lo Spirito. In entrambe, camminando non solo insieme con la gente della propria comunità, ma anche con chi ha culture e sensibilità diverse. Inseriti tutti nel fiume di vita che solo una seria e serena familiarità con la storia può garantire.