La liturgia di oggi ci parla di vita concreta. “Maestro, dì a mio fratello che divida con me l’eredità!”: due fratelli in lite perché non riescono a spartirsi l’eredità. Una situazione realistica e persino frequente. Quante famiglie divise per questo! Quante relazioni interpersonali bruciate per interesse! E non solo a causa di beni materiali. Ma anche per accaparrarsi la stima altrui, per apparire più autorevoli degli altri, per prevalere ad ogni costo!
La Parola ascoltata però ci toglie ogni alibi, insegnandoci che certi conflitti si superano solo se impostiamo diversamente la nostra vita, seguendo la strada suggerita dalle letture odierne.
“Tutti i giorni dell’uomo non sono che dolori e fastidi penosi; neppure di notte il suo cuore riposa”. Questa ed altre affermazioni contenute nella prima lettura, se isolate dal contesto e lette a prescindere dal Vangelo, ci appaiono come un concentrato di pessimismo sulla vita dell’uomo. Alla luce del Vangelo, invece, diventano un severo ammonimento per chi, nel progettare e vivere la propria esistenza, punta tutto sull’interesse, sul tornaconto, sull’accumulo di beni. Quando due o più persone che hanno impostato così la loro vita si incontrano, allora sono inevitabili i contrasti. Proprio come accade ai due fratelli che si rivolgono a Gesù. L’interesse per l’eredità li fa entrare in rotta di collisione, tanto che non riescono più a parlare tra loro e chiedono a Gesù di risolvere la loro controversia. Essi ignorano – e forse capita anche a noi – che la soluzione a queste situazioni assurde non sta fuori di noi, bensì nel nostro modo di concepire la vita e vivere le relazioni. Non servono formule magiche, ma la conversione del cuore e della mente. E questo “cambio di rotta” comincia col prendere coscienza della stupidità di una vita spesa ad accumulare beni, come l’uomo della parabola raccontata da Gesù. Quell’uomo, che non faticheremmo a considerare “un uomo di successo”, Dio lo giudica invece uno stolto. Ha fatto tanto per garantirsi molti beni, ma ha reso arido e sterile il suo cuore. Un errore che anche noi possiamo compiere, divenendo incapaci di avere uno sguardo positivo sugli altri, necessaria premessa per ogni relazione bella e costruttiva. Allora, chiunque può diventare “uno da sfruttare” o, nella migliore delle ipotesi, uno da guardare con sospetto.
Ma attenzione, Gesù non dice che quell’uomo è stolto perché ha faticato tanto e ha fatto fruttare i suoi campi. Egli è stolto perché, dedicandosi solo a queste cose, ne ha omesse altre necessarie. Un’omissione che lo ha portato a dimenticare Dio e ad addormentare la propria coscienza, appiattendosi sull’avere. Ecco dunque la vera sapienza: mani piene ma aperte e stese verso gli altri. Al contrario dello stolto, che ha mani piene ma chiuse e attaccate a sé.