Anche oggi la Liturgia della Parola interroga la nostra fede in Dio e nella sua salvezza. Nella prima lettura, il profeta Abacuc sembra indignato e quasi scandalizzato per il “silenzio di Dio” dinanzi ai mali del mondo,  ferito da “violenza, rapine, liti, contese …”. La sua preghiera, a nome del popolo, esprime il disagio del giusto davanti alla violenza ed alle sopraffazioni.
Il grido di Abacuc somiglia tanto al nostro, quando restiamo turbati davanti a situazioni particolarmente dolorose, mentre ci sembra che Dio taccia, senza intervenire. “Perché Dio permette tutto ciò? Perché non scende in campo? Perché rimane estraneo alla faticosa storia degli uomini? Perché lascia che i malvagi trionfino impunemente?”.
Ma il Signore risponde alla preghiera di Abacuc: c’è una scadenza a tutto il male che sta nel mondo!  Colui che non ha l’animo retto soccombe; solo chi vive di fede avrà vita piena e realizzata!
Dio, dunque, chiede un atteggiamento di fede, nonostante il difficile presente. “Che delusione!”, verrebbe da dire. Sì, se la fede fosse un atteggiamento riducibile solo a qualche generico gesto pio, non ci rimarrebbe altro che indignarci con Dio, per il suo “silenzio” e… per la sua  risposta!
Ma la fede che Dio ci chiede è tutt’altro, è una forza rivoluzionaria che agisce dentro e fuori di noi. È la fede che non subisce il ricatto della realtà, ma che si fa obbedire da essa, la trasforma e fa succedere l’impossibile. Insomma, è la fede come impegno, come indignazione e lotta e non come rassegnazione ed infamia.
E’ la stessa fede di cui parla Gesù nel Vangelo di oggi.  Attraverso un linguaggio paradossale, con immagini che appaiono esagerate, Gesù vuole dirci che a chi vive questa fede (anche se solo “un granellino”) è possibile fare cose che potrebbero apparire addirittura impossibili. Ma il primo passo richiesto all’uomo di fede è quello di non chiudersi in schemi asfittici e sterilmente rassicuranti, per lasciare spazio, nelle sue azioni e nelle sue scelte, allo Spirito di Dio “che spira dove vuole e quando vuole”.
Quando un uomo o una comunità sono animati da questo tipo di fede evangelica, la prima espressione che cancellano dal loro vocabolario è “non c’è più niente da fare!”; e la sostituiscono col “c’è da continuare a fare diversamente!”. É quella stessa fede che fa dire a Paolo, rivolto a Timoteo: “Dio non ci ha dato uno spirito di timidezza”. É quella fede capace di trasformare il mondo iniziando questo processo di trasformazione in noi stessi.
Ma è anche una fede che non pretende contraccambio. Quante volte ci sentiamo dire: “Ho perso la fede! Ho pregato e non ho ottenuto la grazia!”. Questa non è fede, è calcolo, calcolo con Dio, un Dio che non paga il Sabato.
Donaci Signore di avere vera fiducia in Te, per fare esperienza della tua salvezza.

 

» XXVII Domenica del Tempo Ordinario, 2 ottobre 2016