«Chiunque fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate» (Gv 3,20). Così Gesù nel dialogo con Nicodemo, che ci raggiunge in questa domenica. Sorrido amaro nel meditare queste parole, pensando che a ben guardare oggi siamo davanti a un volgare ribaltamento di questa logica: è piuttosto il bene a essere censurato, deriso, sospettato, perfino diffamato, condannato a restare nell’oscurità della non-notizia. Rispetto alla parola del Signore: «Chi fa la verità viene verso la luce» (Gv 3,21), viene da dire che è il male a essere glorificato, esaltato, ripreso e rilanciato. Il tempo che viviamo ci fa conoscere gente che predica e pratica la violenza e la esibisce in pubblico. L’esempio più lampante ce lo offrono gli efferati atti dell’Isis, con la loro ricerca spasmodica dell’effetto mediatico: quelle immagini – siano coltelli branditi contro persone inermi o siano le martellate alle statue di Mosul – mirano a colpire e spaventare l’immaginario di noi occidentali.
Al di là di tali inclassificabili estremizzazioni, dobbiamo riconoscere che anche in certi nostri ambienti la luce non sempre è di casa o, quando lo è, viene usata per illuminare le negatività altrui e metterne in evidenza i peccati. Una prima conversione potrebbe essere quella di uscire dalla tentazione di pensare che il male abiti soltanto in certe zone o in certe persone. Come descrive il secondo libro delle Cronache, che la liturgia ci offre come prima lettura, il peccato – sia individuale che sociale – ha invaso ogni aspetto della vita del popolo, dal tempio all’esperienza quotidiana. Si presenta nelle mille forme di divisione e di sopraffazione, nella presunzione che impedisce al fratello di potersi esprimere, come nei luoghi in cui non si testimonia accoglienza, rispetto e amore.
Su questo sfondo afferriamo la grandezza dell’annuncio che attraversa la liturgia della Parola: le infedeltà dell’uomo e il suo atteggiamento di ribellione e di rifiuto portano certamente con sé conseguenze molto tristi per il popolo, ma non fanno venire meno la pazienza e l’amore di Dio. Come testimonia Gesù, «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» (Gv 3,16): è quest’annuncio il nucleo centrale, il fulcro della fede e della stessa storia umana, avvolta dalla misericordia divina, che proprio nel Figlio è a noi rivelata.
Un passo dopo l’altro, la Quaresima ci educa a guardare alla Croce, sapendo che Gesù l’ha trasformata da ingiusta sconfitta a via per il ritorno al Padre, cammino verso la luce del giorno. Accoglierlo – «Chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3,15) – porta a compiere sui volti dei tanti umiliati dalla paura e dalla violenza gesti concreti di prossimità che ne raccontano la misericordia e infondono speranza che rialza e fa vivere davvero.