La Parola del Signore ci consola e ci sprona. I brani e il salmo di oggi li conosciamo forse a memoria, eppure il loro ascolto ogni volta ci rigenera e ci dischiude orizzonti e profondità sempre nuovi. Come è grande la tua bontà, Signore, di cui ci rendi partecipi nonostante la nostra piccolezza, anzi, proprio per mezzo di essa. Questa consapevolezza produce in noi uno stupore sempre nuovo, che ci mantiene spiritualmente giovani e ci insegna, intanto che diveniamo fisicamente più vecchi, a diventare interiormente più simili ai bambini.
Due sono i sentieri che, indicati dalle letture odierne, vorrei seguire in questa meditazione: il desiderio e la ragione, che insieme, e mai divisi, ci portano alla vera sapienza, che cerchiamo come uomini, come studiosi e come formatori, nel nostro cammino umano e nell’attività accademica. È il desiderio a muovere l’autore del testo della Sapienza che, attratto e quasi ammaliato dalla prudenza, la invoca con tutte le forze e si mette in cerca di essa, come della perla più preziosa, possedendo la quale si possiede tutto.
Chi cerca trova, ci ricorda il Signore, e così ci insegna anzitutto a educarci su cosa cercare. Non sempre chi cerca trova, lo constatiamo ogni giorno. Trova ciò che cerca, però, chi persegue la saggezza del cuore, perché è quanto Dio è già intenzionato a darci, e il desiderio di possederla e vivere conformemente a essa non fa che aprire le porte al dono divino. È lo Spirito la sapienza, che il Padre desidera elargire su ogni creatura, ed è in Lui che Gesù eleva al Padre la sua lode, mossa dalla commozione nel costatare che i piccoli ne sono resi partecipi, e dal desiderio che tutti entrino nel regno di Dio, da lui inaugurato. E Gesù ci rivela che il Padre dà sempre lo Spirito a chi glielo chiede; non sempre concede la guarigione o la prosperità, ma sempre concede lo Spirito, che è l’amore, e la vera sapienza, e i due coincidono.
Assistiamo ogni giorno con preoccupazione alla proposta su vasta scala di prodotti, mode e stili di vita contrari al bene della persona, che ammaliano e irretiscono tanti, di ogni età ed estrazione sociale, seminando – nel lungo o nel breve periodo – delusione e carenza di senso. La capillarità della diffusione di tali modelli contagia un po’ tutti noi, e fa ammalare spiritualmente tanti, portati a credere che il benessere della persona risieda nel solo possesso; ad assumere come unica via possibile un individualismo apparentemente vincente e consolidato nelle pratiche più comuni; a pensare che la ricerca dell’assoluto e dell’eterno sia un bene privato e in fondo superfluo, lecito ma più che altro frutto della fantasia o del bisogno di alcuni. Sono i sintomi preoccupanti di una deriva antropologica gravissima, e di un frazionamento della persona umana in tanti pezzi isolati, nessuno dei quali è capace di unificare e compiere le istanze più profonde dell’uomo.
In questo contesto culturale e umano, chi ha incontrato il Cristo, riconoscendo in lui l’uomo nuovo e perfetto, non può vivere per se stesso, ma sentendo la missione di trasmetterlo agli altri, per soccorrere tanti fratelli nel loro angosciato vagare in cerca di beni che non saziano l’anima. Il nostro mondo ha bisogno di essere salvato, e l’impegno di ricerca sull’uomo – che ponete al centro delle finalità della Facoltà –, sulla sua vocazione integrale nei vari ambiti e aspetti della sua vita, costituisce un elemento fondamentale e insostituibile nel contribuire a questa salvezza.
Per essere salvati si deve agire in modo diverso e nuovo, ma questo è possibile solo se si ragiona in modo nuovo, e si desidera ciò che è realmente buono. Ecco il concorso di ragione e desiderio, al quale facevo riferimento, che riflette la coincidenza tra loro e con Dio stesso del buono e del bello. Finché l’uomo sarà spinto a cercare ciò che è bello, prescindendo da ciò che è buono, o a obbedire al bene senza percepire che è anche ciò che appaga il desiderio, sarà come il figlio minore della parabola, che dimentica il bene, o come il maggiore, che non trova il bello. La nostra visione antropologica, invece, e le nostre pratiche educative, devono fondarsi su questa coincidenza e svilupparne le innumerevoli e meravigliose conseguenze.
È questa anche la chiave del metodo educativo di don Bosco, alla cui ricchezza voi attingete, basato sulla consapevolezza che l’educazione parte dalla persona e porta a essa; sulla fiducia che dentro alle persone, e soprattutto ai ragazzi e ai giovani, Dio ha chiuso un grande tesoro, diverso per ognuno, che va scoperto e fatto crescere. Ciò pone la relazione alla base dell’opera educativa, evitando il rischio dell’omologazione, o della riduzione della formazione a mera trasmissione di contenuti o abilità pratiche. E genera un profondo rispetto per chi abbiamo davanti, che mai possiamo giudicare, ma solo accompagnare, trattando con cura e rispetto qualcosa di grande, che non ci appartiene. Educare in questo modo significa non solo guarire, ma prevenire, secondo le intuizioni e lo stile salesiano, di cui siete esperti, perché richiede di indicare obiettivi alti, di fare crescere le persone assicurando loro la stima, evitando che si sviliscano e si sottovalutino; la povertà di stima e di ideali, infatti, è la vera e prima causa dei comportamenti che portano al fallimento umano e spirituale.
Poniamo nella celebrazione eucaristica di oggi tutte queste intenzioni, e ognuno le proprie. Ci uniamo però per impetrare una cosa tutti insieme, sapendo che il Signore ha promesso di esaudirci quando ci accordiamo per invocarlo: chiediamo, insieme a Maria Ausiliatrice e per mezzo di lei, il dono della vera sapienza, che tiene uniti il cuore e la mente; chiediamo di trovare il linguaggio e i mezzi giusti per portarla alle persone che ci vivono accanto. Ci diciamo pronti, per poterla ricevere, a dedicarci alla sua ricerca con ogni sforzo possibile, con la dedizione allo studio e alla preghiera, cercando di diventare un piccolo seme, come Gesù, perché anche altri possano trovare riparo sui nostri rami.
» AUXILIUM – Omelia per l’inaugurazione dell’Anno Accademico, 29 ottobre 2015