Senza indebite forzature, le letture bibliche ascoltate oggi si collocano bene nel contesto dell’esperienza che state facendo. A cominciare dalla prima lettura che, nei due personaggi che l’animano, presenta due modi di vivere il proprio ruolo.

Baldassàr incarna l’uomo che, sopraffatto da delirio di onnipotenza e assolutamente sganciato dalla realtà, stravolge il senso e la destinazione delle cose, tanto che – abbiamo letto – «comandò che fossero portati i vasi d’oro e d’argento che Nabucodonosor, suo padre aveva asportato dal tempio di Gerusalemme perché vi bevessero il re e i suoi dignitari, le sue mogli e le sue concubine».

Tutt’altro è l’atteggiamento tenuto da Daniele, «un deportato dei Giudei». Con la sua parola e con le sue scelte («Tieni pure i tuoi doni per te e da’ ad altri i tuoi regali…») recupera e riconsegna Baldassàr alla realtà: la tua vita è nelle mani di Dio, gli dice. Nessuno quindi è padrone della sua vita e tantomeno lo si può essere di quella degli altri.

Attraverso la lettura sapienziale di quanto gli era apparso, Daniele mostra a Baldassàr il carattere effimero e le conseguenze drammatiche delle sue scelte; fatte di grandezze artificiali, di costruzioni ridicole e di stravolgimento della realtà.

Sono due le immagini che colpiscono nel Vangelo di oggi: una, carica di violenza: guerre, terremoti, tradimenti; l’altra, rassicurante: «neppure un capello del vostro capo andrà perduto».

La prima immagine è uno sguardo molto realistico sulla storia; una storia fatta spesso violenza, in tutte le sue forme, che distrugge non solo le cose, ma anche e soprattutto le persone.

La seconda immagine è racchiusa nell’assicurazione data da Gesù: «neppure un capello del vostro capo andrà perduto»; ed è un’espressione che ci dice con quale atteggiamento deve stare il cristiano in questa storia, caratterizzata da violenza, ma anche da gesti di grande generosità; da arroganza, ma anche da atteggiamenti di forte solidarietà.

Nella storia il credente non può vivere una presenza carica di paura e di angoscia. Al credente viene domandata invece una presenza impegnata ad arginare la forza distruttrice del male, sostenuta (questa presenza) dalla certezza che ad accompagnare l’azione leale del credente c’è sempre l’attenta e rassicurante tenerezza del Signore.

Ripercorrendo le pagine della Scrittura sono davvero tanti i passi nei quali il Signore assicura questa sua vicinanza! Tra queste, come non ricordare le pagine cariche di grande tenerezza di Osea o le immagini piene di vicinanza e di passione del Cantico dei cantici?

In un mondo come il nostro – ben rappresentato dalla realistica descrizione dei tempi di guerre e di violenza – il credente che vive l’attesa dell’incontro col Signore ha bisogno di sentirlo accanto. Solo avvertendo la presenza tenera e costante del Padre, il credente può far fronte ai contraccolpi della violenza e sentire la consolazione derivante da gesti ed eventi di tenerezza.

Degli atteggiamenti tra i quali il credente può trovarsi a scegliere nelle vicende di ogni giorno, nel Vangelo di oggi, Gesù ci invita ad allontanare da noi la paura paralizzante per spenderci piuttosto perché fin da oggi si allarghino gli spazi della tenerezza, dell’attenzione e della condivisione. Perché sono questi i veri ed eloquenti segni del Regno di Dio che sta venendo. Sono questi i segni che ci dicono che si sta avvicinando il Regno di Dio; si sta avvicinando cioè la realizzazione del mondo come Dio lo sogna e dell’uomo come Dio lo vuole.

E a chi fa fatica a reggere di fronte al male inevitabile che segna il proprio tempo, Gesù dice: «con la perseveranza salverete la vostra vita». Un invito a vivere il tempo presente con serietà, accettandone le sfide; perché questo nostro tempo ha una sua densità, ha un suo significato ed ha un suo straordinario valore. Il credente che crede davvero nella «vita eterna» è chiamato a trasfigurare il presente, rendendolo gravido di segni di speranza.

Quindi, niente agitazione, ma sana e appassionata operosità!

 

Signore,
attraverso le parole di Gesù
ci hai fatto capire, ancora una volta,
che non vuoi con noi un rapporto fatto di paure e di ansie.
La nostra storia quotidiana
non è fatta di trabocchetti che Tu ci tendi;
ma è fatta di opportunità,
il più delle volte incomprensibili, che Tu ci offri.
La Parola ascoltata oggi mi fa capire,
ancora una volta, quello che Tu desideri:
l’attesa del REGNO deve colorarsi per noi
di amore senza limiti per questo nostro mondo
e per il pezzo di terra nel quale Tu ci hai collocato.
Signore,
abbiamo bisogno che Tu
stia vicino ai nostri cuori e alle nostre mani.
Oggi io unisco la mia voce
al grido dei bambini affamati,
delle donne violentate,
delle città distrutte,
delle vite spezzate.
Attesa del REGNO per loro e per noi
è credere che solo in Te troveremo
la forza per cambiare questo presente,
per opporci al male,
che spesso è già dentro di noi;
per sognare un mondo “altro”
e per andargli incontro.
Un REGNO che non è di questo mondo,
ma esige un posto in questo mondo.
AMEN.

» CEFALU’ – Omelia, 25 Novembre 2015