La Pasqua, che abbiamo celebrata insieme, domanda di entrare come evento fortemente innovatore nella vita, tanto dei singoli quanto della comunità. E le letture di questa domenica ci aiutano a raggiungere quest’obiettivo.
La prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, ci ricorda a quali condizioni una comunità può tenere vivi in sé i frutti della Pasqua: rimanendo fedeli alla predicazione degli Apostoli, celebrando l’Eucarestia, nutrendosi della preghiera in comune e vivendo uno stile di condivisione.
Pietro (2ª lettura), poi, spiega cosa vuol dire accogliere seriamente la Pasqua nella propria storia, parlando di “rigenerazione… speranza viva… eredità che non si corrompe”.
La vita di fede della prima comunità cristiana si nutre di tutto questo, senza però sminuire l’esperienza di fede dei singoli, come quella vissuta da Tommaso (Vangelo).
La storia della relazione di Tommaso con Gesù risorto ci insegna che non per tutti e non sempre è facile passare dalla paura degli avvenimenti vissuti alla gioia di rincontrare il Signore, com’era invece capitato agli altri discepoli. Gli accadimenti di quei giorni – culminati nell’esperienza traumatica della morte in croce di Gesù – li avevano resi paurosi, sospettosi, senza speranza, rassegnati. Nella loro chiusura però irrompe la presenza di Gesù (“si fermò in mezzo a loro”). I discepoli non l’accolgono subito, temono d’illudersi, perché quello che è capitato pesa ancora su di loro. Ma Gesù “mostrò loro le mani ed il costato” – i segni della croce recente ancora presenti – ed essi finalmente si aprono alla gioia.
Il racconto dell’esperienza di fede di Tommaso e le sue parole vanno lette in questa luce. Di fronte alla testimonianza degli altri discepoli, Tommaso dice: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi…”, quasi a dire: non voglio passare oltre, non voglio dimenticare quello che è capitato, voglio capirlo.
Anche a Tommaso Gesù mostrò le mani ed il costato. E Tommaso capì che Dio non scherza col dolore umano. Ma anche che il dolore e la sofferenza umana non possono autorizzarci ad accusare Dio, a concludere che, di fronte alla croce, tutto è finito e non c’è più nulla da fare.
Tommaso non è uno “lento a credere”. Piuttosto è un uomo serio, che vuole vederci chiaro in questa storia di morte e risurrezione. La sua, forse, è una fede sofferta; ma alla fine è una fede vissuta senza equivoci e con grande franchezza.
Anche alla luce della sua esperienza, rimettiamo dunque al centro il messaggio della Pasqua: non c’è pietra, per quanto grande, che possa tenere sigillate per sempre le nostre tombe. Per il credente nella Resurrezione di Gesù, non c’è storia, per quanto compromessa, che sia destinata a rimanere tale per sempre. L’ultima parola sulla nostra vita resta a Dio, ed è sempre una parola di salvezza.