Sap 9,13-18; Fm 1,9-10.12-17; Lc 14,25-33
«Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio».
Ci ha fatto pregare così il Salmo responsoriale. Insegnaci – abbiamo chiesto al Signore – a stare in questo mondo e a vivere la nostra vita con «cuore saggio»; lasciandoci guidare cioè dal tuo modo di vedere e di giudicare.
Alla luce del Vangelo di oggi, la «sapienza del cuore» comporta: a) Seguire Gesù decidendo cosa nella propria vita è davvero importante e quindi cosa va messo al primo posto; b) Disponibilità a portare il peso ed a pagare il prezzo dell’essere fedeli alla scelta di seguire Gesù; c) e quindi la necessità di «sedersi e calcolare»; la necessità cioè di ponderare ed accompagnare con serietà le proprie scelte. Perché la vita spirituale del discepolo di Gesù, se non può essere frutto di calcoli meschini, non è neppure frutto di improvvisazione né può essere una copia sbiadita del modo comune di pensare.
La sapienza del cuore che abbiamo invocato nel Salmo responsoriale è quella dell’uomo/donna che tiene fisso lo scopo verso il quale è incamminato, spende per questo le sue energie e mette in conto i suoi ed i limiti altrui per superarli. A cominciare da quei limiti con i quali ciascuno di noi fa i conti quando si sente invitato a “perdonare le offese”
In questa cornice va collocato l’invito al “discepolato” che Gesù ci sta rivolgendo da qualche domenica a questa parte. Certo, le condizioni che Gesù pone sembrano messe lì più per scoraggiare che per favorire l’andare seriamente appresso a Gesù.
«Entrate per la porta stretta» (21ª domenica)
«Mettiti all’ultimo posto» (22ª domenica)
E oggi: «Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo».
La forza e il centro di questa condizione posta da Gesù – e di quella che chiude la pagina del Vangelo di oggi («Chiunque di voi non rinuncia tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo») – non sta in quella serie di «NO» detti a cose spesso belle e forti della vita! Quando si interpreta così il Vangelo – come una serie di NO e di rinunce fine a se stessa – non si fa la volontà di Dio, non si obbedisce al Dio della vita, non si obbedisce a Gesù che è venuto per farci assaporare il gusto nuovo per la vita.
L’accento va posto piuttosto sul verbo/obiettivo principale: diventare discepolo!
Oggi Gesù vuole dirci che l’essere suo discepolo e la stessa la vita del discepolo di Gesù avanzano grazie a una passione e non per una o molte rinunce. La vita del discepolo non avanza a colpi di sacrifici.
La vita del discepolo avanza grazie a una passione che permette di non fermarsi al cerchio caldo degli affetti familiari o delle amicizie rassicuranti («… Se uno … non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie …») o dei beni materiali.
Quando manca la passione che fa osare e che spezza gli schemi che danno sicurezza – al massimo si può essere dei burocrati e degli abusivi del sacro; per i quali, il sacro a ogni livello, è solo una scusa e un paravento per mascherare le proprie fragilità e raggiungere senza grandi sforzi interessi di piccolo cabotaggio.
Gesù invece ci vuole appassionati di lui e del Vangelo. Una passione da tradurre in gesti concreti di vicinanza ai più disgraziati e di accoglienza per quelli dei quali nessuno si cura.
Insomma Gesù vuole che scegliamo e viviamo una vita come la sua, prendendo su di noi la nostra porzione di passione – amore; perché senza amore e di solo calcolo non si vive … si muore dentro.
Altro che invito ad essere rinunciatari, fatalisti o mediocri, quindi! Gesù vuole trasmetterci un’infinita passione per la vita: la passione che ci fa suoi discepoli!
E chi non ha questa passione non comprenderà mai il senso del “perdonare le offese”. Di osservazioni che poggiano sul buon senso o su considerazioni di ordine psicologico… se ne posso fare tante. Servirebbero solo a depotenziare la forza e la novità della richiesta di Gesù. “Perdonare le offese” raccoglie inviti espliciti di Gesù ai suoi discepoli; uno per tutti: «… perdona a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori».
Al di là di discorsi teorici e guardando alla nostra esperienza, alla mia esperienza, questa opera di misericordia spirituale è l’unica che non guarda alle persone, ma a una esperienza: l’offesa; a qualcosa cioè che mi fa male, che mi impoverisce, che mi incattivisce, che provoca dentro di me il desiderio di vendetta, di ripagare con la stessa moneta. Mi hai denigrato, ti denigro; possibilmente in maniera più pesante. Mi hai calunniato … ed io faccio di tutto per imprimere dentro di me il ricordo del fango col quale mi hai ricoperto e lo riporto alla mente tutte le volte in cui mi serve. Purtroppo sono queste le dinamiche che si innescano nelle nostre relazioni deteriorate.
Il primo passo perché questa opera di misericordia ci appartenga è il provare disagio per queste che la mentalità diffusa ritiene reazioni normali e giustificate. Se non provo disagio, anzi coltivo queste reazioni e mi creo alleati che le alimentano, resto mille miglia lontano dall’esercizio di questa opera di misericordia. Al disagio deve accompagnarsi l’impegno ad abbandonare ogni risentimento e proposito di punizione o di vendetta nei confronti di chi mi ha arrecato un’offesa o un danno. La spinta a “farla pagare”, a vendicarsi è purtroppo radicata in ognuno di noi. Purtroppo ci viene spontanea. Un passo decisivo per non farci sopraffare da questa reazione è il poter dire, almeno dentro di noi, a chi ci ha offeso: «Tu non sei morto per me! Io non voglio il tuo male». Capisco e so quanto sia difficile dire e “sentire” questo Torna per questo importante far nostra e ripetere l’invocazione del salmo responsoriale: «Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio». In fondo, l’esercizio dell’opera di misericordia “perdonare le offese” mira a renderci saggi secondo il cuore di Dio, secondo il Vangelo; ci spinge in una direzione opposta a quella che il modo comune di pensare intende indicarci; intende – in una parola – avvicinarci al Vangelo.
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