Gen 17,3-9; Gv 8, 51-59
Solo qualche breve considerazione che, a partire dalle letture, ci aiuti a proseguire in maniera consapevole il nostro cammino incontro al Signore Risorto.
1. Il brano che ci ha proposto la prima lettura appartiene alla tradizione postesilica: tempo in cui il popolo d’Israele è davvero un “piccolo resto” segnato da mille difficoltà, ma soprattutto è un popolo in preda a una profonda crisi di speranza.
Dio parla ad Abramo perché sostenga il suo popolo. E lo fa invitandolo a riappropriarsi in maniera consapevole di due promesse e di un dono, capaci di ridare vita e speranza al popolo: – «* sarai padre di una moltitudine di nazioni; * la mia alleanza è con te ed è perenne; * la terra dove sei forestiero la darò in possesso per sempre a te». Quasi a dire: Guardate che la condizione faticosa che voi vivete è frutto di smemoratezza da parte vostra , è il frutto del vostro esservi fidati solo di voi. Ricordare le due promesse e sentirsi destinatari del dono della terra in cui siete è la strada da percorrere per ritrovare coraggio e speranza. A patto comunque che il popolo ci metta del suo: la fedeltà all’Alleanza. Un’Alleanza che il Signore non ha mai ritirato e alla quale ci invita, giorno per giorno, ad essere fedeli attraverso scelte sensate. Quelle che continuamente ci domanda là dove ognuno di noi è posto dalla Provvidenza. Ognuno di noi le conosce. Ognuno di noi sa qual è il grado di fedeltà che in esse portiamo.
2. Del Vangelo, mi colpisce l’epilogo: «… Gesù si nascose e uscì dal tempio».
Il tempio è il luogo in cui Gesù rivela la sua identità, ma è anche il luogo in cui i suoi interlocutori, sorpresi dalla forza di quanto Egli dice di sé, lo costringono a nascondersi e a uscire.
Il tempio è e continua ad essere un luogo ambiguo. Stare nel tempio, appartenervi a qualsiasi titolo, non è garanzia di fedeltà a chi quel tempio lo ha voluto e lo abita!
Cosa aveva detto Gesù di così dirompente, tanto da spingerli a «raccogliere le pietre per gettarle contro di lui»?
Aveva ricondotto i suoi interlocutori all’essenziale del loro dirsi ed essere “discepoli”: Ascoltare la parola di Gesù (o la parola che è Gesù); ricordando che solo questo dà la vita, quella vera.
Penso sia importante ricordarcene in un momento – come il nostro – in cui si moltiplicano a dismisura i criteri per dichiararsi “di Cristo”, con un sussiego (tante volte con un’arroganza!) che lascia senza parole. Siamo arrivati addirittura a marcare differenze che passano attraverso l’uso di questa o quella forma di vestito, di questo o quel modo di atteggiarsi!
In un tempo popolato da visionari, palafrenieri e garanti dell’ortodossia non richiesti, è importante decidere nelle mani di chi mettere la nostra vita e da cosa far dipendere la nostra serenità.
Anche la comunità giovannea, che è la vera destinataria di questa pagina del Vangelo, faceva ancora tanta fatica a identificarsi come discepola di Gesù, morto e risorto. Anche nella comunità di Giovanni c’erano nostalgici del Battista che facevano fatica ad accettare Gesù! Eppure: «… Se uno osserverà la mia parola, non sperimenterà la morte». È la certezza che ci viene riconsegnata oggi.
Allora, se il tempio, la sua frequenza e le sue liturgie non bastano, è necessario che ci chiediamo quanto della nostra vita e quanto delle nostre scelte è frutto della Parola incontrata, ascoltata e messa in pratica.
Ricordiamo: «Gesù si nascose e uscì dal tempio».