Dinanzi all’atteggiamento piuttosto diffuso che legge in maniera negativa la realtà nella quale viviamo, la vita e la stessa presenza degli altri voglio fare mio stesso invito che il poeta francese A. Rimbeau rivolgeva al diavolo: «Procurati una pupilla meno irritata».
Si sa che chi ha la pupilla irritata fa fatica a vedere e a godere delle cose belle che lo circondano. E questo può valere anche per il Natale.
Penso che per poter cogliere in profondità e in maniera realistica e sensata il significato del Natale abbiamo tutti bisogno di una pupilla meno irritata. Ne abbiamo bisogno prima di tutto per scorgere la ricchezza delle letture che sono state proclamate.
Isaia, nella prima lettura, parla a un popolo che sta facendo, sulla sua pelle, esperienza di esilio, di schiavitù, di mancanza di progettualità. Tutte esperienze che il profeta condivide col suo popolo. Di questo popolo, del suo popolo, Isaia dice: «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce». Dinanzi a questo popolo, cioè si apre una prospettiva nuova.
Se siamo qui, stasera, è perché crediamo che quel bimbo, nato a Betlemme, può essere la nostra luce, può indicare a noi una prospettiva nuova.
A Isaia fa eco Paolo: «E’ apparsa – abbiamo ascoltato nella 2ª lettura – la grazia di Dio». La più bella spiegazione di questa affermazione la troviamo nel Vangelo ascoltato poco fa. Luca ci fa comprendere che, nella debolezza di questo bambino – insignificante dinanzi ai potenti della terra – è Dio che si fa nostra luce, è Dio che si rende presente per dirci che non vuole lasciarci soli.
Non vuole lasciare solo il popolo che cammina nelle tenebre.
Non vuole lasciare soli i giovani che continuano, a modo loro e col loro linguaggio, a domandare ragioni di speranze e di vita. Non vuole lasciare soli papà e mamme, ridotti all’impotenza dall’arroganza e dalla voglia di autodistruzione di certi figli.
Se ci procuriamo una pupilla meno irritata, in quel presepe noi incontreremo il volto di un Dio amico, venuto per dirci che non siamo nati per rimanere nelle tenebre, non siamo nati per nutrirci di disperazione. E, di quel presepe, veniamo chiamati ad essere protagonisti e non solo spettatori, anche se attenti e commossi. Veniamo chiamati anche noi a partorire Cristo e le sue logiche in luoghi aridi e inospitali, come lo furono le locande di Betlemme quella notte. Non è moltiplicando aridità, arroganza e inospitalità che diamo senso al Natale. Non è moltiplicando conflittualità e giudizi sprezzanti sulle persone che si rendono migliori i nostri luoghi di vita. E allora, l’augurio per questo Natale lo prendo in prestito dal poeta francese Rimbeau: «Auguro a voi a me di avere pupille meno irritate», capaci di vedere la luce e di renderci portatori di luce.