“Coraggio! Non temete! Ecco il vostro Dio… Egli viene a salvarvi”. Con questa profezia di speranza, rivolta da Isaia al popolo d’Israele in esilio, si apre la Liturgia della Parola di oggi. L’intervento salvifico di Dio si accompagnerà a segni di “guarigione” per chi soffre (sordi, muti, zoppi), oltre al rifiorire della natura inaridita. Ecco perché – come narra il vangelo odierno – la guarigione di un sordomuto, che Gesù compie, viene riconosciuta come segno dell’azione di Dio che realizza le sue promesse di salvezza. Un Dio che, in Gesù, “ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!”.
Questa antica promessa di vicinanza del Signore, però, non vale solo per il popolo di Israele, ma anche per noi oggi. Certo, facciamo tanta fatica a ritenere reali quelle parole e a sentirci subito incoraggiati e rimessi in cammino da esse. Soprattutto quando l’esperienza quotidiana ci mostra che tanti ciechi continuano a non vedere, la prepotenza di pochi continua a tenere in scacco molti, gli arroganti continuano a dettare legge, il disagio interiore continua a non lasciare in pace e le legittime speranze continuano a rimanere deluse.
Eppure, la Parola di Dio ci invita a credere che il Signore non manca all’appuntamento con il grido del povero e le attese del giusto! Dio, pur con i suoi tempi e modi, porta sempre a compimento le sue promesse, senza lasciarsi fermare dagli ostacoli esteriori o interiori che l’uomo erige lungo la storia.
Cogliamo anche una certa continuità tra la guarigione del sordomuto e il racconto della pagina evangelica ascoltata domenica scorsa. Lì, Gesù invita a ridare importanza e centralità al cuore dell’uomo, piuttosto che giudicare il “puro” o l’ “impuro” – cioè “vicino” o “lontano” da Dio – sulla base delle convenzioni e delle esteriorità. E nel Vangelo di oggi, senza timori e pregiudizi, egli si reca in luoghi ritenuti “impuri” per motivi religiosi, come la Fenicia e la Decapoli. Proprio là, però, il Signore incontra persone di fede autentica. Una fede così sincera e forte che “gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano”, sicuri che Gesù poteva realizzare per lui le promesse messianiche: “far vedere i ciechi e far udire i sordi”. E Gesù non delude la loro fiducia: sana il sordomuto e lo riconsegna così alla piena relazione con gli altri.
Quanta analogia tra questo sordomuto, bisognoso di guarigione fisica, e noi che, pur senza menomazioni fisiche, a volte siamo malati di un falso e comodo misticismo che ci rende capaci di captare … “il fruscio degli angeli”, ma ci mantiene sordi ed insensibili al grido dei poveri e dei sofferenti.
Impariamo da Gesù, dunque, a seminare e far sbocciare nel nostro quotidiano quei segni di “guarigione” (interiore ed esteriore) che rivelano al mondo la presenza di Dio.
XXIII domenica del Tempo Ordinario, 9 settembre 2018