At 5,12-16; Ap 1, 9-11.12-13.17.19; Gv 20,19-31
San Giovanni Paolo II ci ha regalato questa ricorrenza liturgica e Papa Francesco, soprattutto con l’indizione dell’Anno giubilare della misericordia, ci sta aiutando a vivere e a valorizzare questo dono che, prima di essere un dono degli uomini, è un dono di Dio. Anzi, possiamo dire che è Dio stesso che si dona come misericordia: Il mio nome è Misericordia.
Tra le tante riflessioni che potremmo fare a partire dalle letture di oggi, scelgo di accostarmi ad esse, e soprattutto al Vangelo, vedendovi “la misericordia in azione”.
Il modo in cui Gesù si comporta con i suoi discepoli, e soprattutto il modo in cui si comporta con Tommaso ci insegna cosa vuol dire compiere opere di misericordia. In questo caso, cosa vuol dire compiere opere di misericordia spirituale.
Sia la prima lettura sia il Vangelo ci presentano un tratto di vita della prima comunità cristiana. Essa presenta momenti di vita esemplari ma registra al suo interno anche esperienze problematiche.
La pagina degli Atti coglie la prima comunità nel suo “stare insieme”, testimoniando (“ il popolo li esaltava”) e vivendo l’impegno della carità (“tutti venivano guariti”).
Ma la prima comunità cristiana è anche una comunità nella quale si incontrano serie difficoltà: si fa fatica, da parte di alcuni, a riconoscere e a far entrare il Signore Risorto nella propria vita. La loro fede è messa a dura prova soprattutto dalle cicatrici provocate dentro di loro eventi della Passione e Morte di Gesù. É una difficoltà che si trasforma in paura; tanto che vivono «chiusi per timore dei giudei».
É, per certi versi, quello che capita anche noi quando, per un motivo o per un altro, viviamo situazioni prive di speranza, nelle quali tutto ci pare ostile e schierato contro di noi. Sono le situazioni nelle quali anche noi troviamo più comodo rimanere chiusi. Semmai fuggendo dalle responsabilità o chiudendoci in un silenzio risentito, oppure ricorrendo a parole dette in maniera tanto generica quanto falsa.
Sono tanti i modi per non far entrare nessuno – nemmeno il Signore Risorto con il suo carico di vita nuova – dentro di noi.
Cosa succede in situazioni del genere? «Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo a loro …».
Ecco la misericordia in azione!
Gesù non lascia soli i suoi nel momento della delusione e della paura. La misericordia, qui, si fa vicinanza. Apparendo, Gesù penetra nella paura dei primi discepoli e incontra la loro sfiducia. Appare mostrando i segni della sua Passione e dicendo ai discepoli che la sua presenza in mezzo a loro non è staccata dalla dura esperienza fatta nei giorni della sua dolorosa Passione e Morte.
Ma l’esercizio della misericordia da parte di Gesù non si ferma qui e va incontro a un’altra storia segnata da difficoltà: quella di Tommaso.
«Se non vedo … e non metto il mio dito … io non credo».
Le parole di Tommaso non sono il manifesto dell’incredulità. Sono piuttosto un concentrato di umanità. Con quelle sue parole, Tommaso in fondo dice: non riesco a passare oltre quello che ho vissuto, non riesco a passare subito dalla sofferenza e dalla delusione provocate in me dalla Morte del Maestro alla gioia di crederlo vivo!
Gesù vede ed apprezza in Tommaso la sua voglia di libertà interiore ed il coraggio di chiedere tutto ciò che è necessario per aderire con tutta la serietà che merita l’esperienza di fede. Tommaso è un uomo esigente e radicale, come tanti nostri contemporanei. É uno che non si accontenta del “sentito dire”.
Gesù capisce la fatica ma anche il desiderio di credere di Tommaso.
Gli va incontro come tante volte è andato incontro alla fatica di credere dei suoi e gli dice «…metti la tua mano… ».
Dio non scherza col dolore umano e prende sul serio la nostra fatica di inginocchiarci subito davanti a lui, soprattutto in certe situazioni.
Il dialogo tra Gesù e Tommaso e l’invito a mettere la mano nel costato ci dicono che la presenza del Risorto e i suoi doni non provocano automaticamente adesione. Il cammino di fede del singolo può avere ritmi diversi da quelli degli altri e domandare altri segni.
Il Vangelo non ci dice se Tommaso ha toccato Gesù! Ci dice però che si è arreso. Ci ha messo tempo a inginocchiarsi, ma quando lo ha fatto, lo ha fatto sul serio.
Insomma, Gesù educa e non mortifica la voglia di libertà interiore di Tommaso; Gesù educa e non mortifica il coraggio di non accontentarsi del “sentito dire” di Tommaso.
É questo lo stile di Gesù! Lo stesso stile che aveva sempre utilizzato prima della Morte e Resurrezione.
Ma il dialogo tra Tommaso e Gesù Risorto è anche 09un invito esplicito alla Chiesa perché ricalchi lo stile di Gesù, che rispetta la fatica di credere, i dubbi e i tempi di Tommaso.
La fede è e resta un’ adesione libera alla proposta di orientare la propria vita e le proprie scelte alla luce di un fatto nuovo e sorprendente che è capitato: la Resurrezione di Cristo.
E in questo, la testimonianza della Comunità gioca un ruolo importante. Solo nella misura in cui la Comunità credente si presenta con un comportamento realmente ispirato a Cristo – e alla sua logica di vicinanza e di misericordia – diventa anche credibile. Comportamento credibile è quello che si ispira alla reazione dei discepoli, quando vedono il Signore: e cioè la gioia. Comportamento credibile è quello di una Chiesa che si sente inviata a fare e a far fare l’esperienza di perdono e di misericordia piuttosto che fare e far fare esperienza sterile di condanna e di rivendicazione; Comportamento credibile è quello di una Chiesa che si sente inviata a fare e a far fare esperienza di accoglienza di situazioni difficili piuttosto che quella del rifiuto.
» II Domenica di Pasqua (della Divina Misericordia), 3 aprile 2016