Diverse sono le modalità e le sfumature dell’identico invito che il Signore rivolge agli uomini e alle donne di tutti i tempi, invito espresso dal verbo: Seguimi! Nelle letture della decima domenica del Tempo Ordinario l’invito fu rivolto a Matteo, seduto al banco delle imposte, un invito prima di tutto alla conversione, a cambiare la propria vita. In questa domenica l’invito di Gesù è ancora più solenne, è un invito a essere partecipi della sua stessa missione: «Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore che non hanno pastore» (Mt 9,36). Per questo motivo chiama a sé i dodici apostoli e «diede loro il potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità» (Mt 10,1): Gesù costituisce i Dodici e li rende partecipi della sua missione di medico delle anime e dei corpi. Di questi Dodici vengono forniti anche i nomi, segno della solennità della missione loro affidata, ma anche segno che su di essi verrà poi strutturata la comunità cristiana. Tra questi vengono messe in risalto la figura di Pietro, il cui nome è introdotto dall’espressione «primo», e quella di Giuda Iscariota, del quale si dice: «colui che poi lo tradì». I Dodici, quindi, sono le colonne della Chiesa nascente, coloro che più da vicino hanno seguito Gesù, senza però dimenticare che anche loro abbisognavano di continua conversione, come insegnano la vicenda di Giuda e il rinnegamento da parte di Pietro. Il compito dei Dodici, e quindi di tutta la Chiesa, è di essere segno/presenza della compassione di Gesù per tutta l’umanità, presenza di quel pastore che sa comprendere e sostenere le difficoltà del cammino di fede di ciascuno, di essere presenza di quel pastore che va alla ricerca della pecora sperduta nel deserto, di quella che non trova più la strada. Il Figlio di Dio non abbandona l’umanità, mai! Egli è presente in mezzo ad essa non solo attraverso il sacramento della presenza eucaristica, ma è presente anche attraverso l’azione di coloro che nella Chiesa egli ha costituito pastori. Benedetto XVI ha ben descritto la missione del pastore nella sua omelia all’inizio del ministero petrino: «La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore: per lui non è indifferente che tante persone vivano nel deserto. E vi sono tante forme di deserto. Vi è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete, vi è il deserto dell’abbandono, della solitudine, dell’amore distrutto. Vi è il deserto dell’oscurità di Dio… La Chiesa nel suo insieme, e i pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza» (24 aprile 2005). E papa Francesco aggiunge il fatto che il pastore deve saper stare davanti alle sue pecore per guidarle, ma anche in mezzo ad esse per conoscerle e condividere la loro vita e infine dietro di esse per sostenere e prendere sulle proprie spalle quelle che fanno più fatica nel cammino. Come comprendiamo, è una grave responsabilità. Per questo è necessario non contare solo sulle proprie forze, ma sulla preghiera che invoca costantemente l’aiuto di Dio. E Gesù stesso ha invitato a pregare: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!» (Mt 9,37-38).
Anche noi siamo invitati a non dimenticare mai questa intenzione di preghiera, specie oggi che in pochi rispondono con generosità alla chiamata del Signore. Siamo invitati a invocare “operai” per la messe del Signore, ma anche a sostenere nella preghiera coloro che hanno accolto questo invito di Gesù e perché si faccia testimone nel mondo di questa compassione, di questo amore del Figlio di Dio per tutta l’umanità.