Personalmente resto sempre piuttosto perplesso davanti a tante “visioni”, spesso provocate e propagandate ad arte. No, non credo che per incontrare Gesù siano necessarie esperienze stravaganti, a fronte delle quali stento a commuovermi; soprattutto, non riescono a coinvolgermi né quelle che ci portano lontano dai posti in cui il Signore provvidenzialmente ci ha posto, né quelle che sottraggono tempo ed energie all’incontro con il Cristo vivo e presente nei poveri.
Ho voluto introdurmi con questa condivisione alla festa dell’Ascensione di Gesù al cielo per cercare di far capire come essa, più che la fine, segni l’inizio del nostro impegno di evangelizzazione e di testimonianza. Così è stato anche per la prima comunità cristiana, raggiunta da un mandato grande ed esigente: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15).
In realtà, come abbiamo avuto modo di constatare nelle scorse domeniche, tale missione è stata tutt’altro che facile, indebolita da uomini e donne che faticano a sintonizzarsi sul progetto di Dio che li vuole suoi alleati, protagonisti convinti nella realizzazione del suo disegno d’amore sul mondo.
A questo proposito, Luca ha un’annotazione simpatica, quando scrive che “essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava” (At 1,10). A quei discepoli, smarriti davanti alla partenza del loro Signore, “due uomini in bianche vesti” danno la dimensione esatta e il senso dell’evento cui stanno assistendo: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?…» (v. 11): Gesù, salito al cielo, non lascia orfani, continua a rimanere con noi e ci accompagna. È vero che con la sua Ascensione termina una sua presenza circoscritta; ma termina perché ora Lui sta dovunque lo si celebra, lo si annuncia e lo si testimonia.
Questa festa, dunque, mentre inaugura una nuova forma di presenza di Gesù in mezzo a noi, ci chiede di avere occhi e cuore per incontrarlo, per servirlo e per testimoniarlo. Credere nell’Ascensione di Gesù al cielo ed essere uomini e donne dell’Ascensione significa perciò farsi cercatori di Cristo lungo i sentieri del nostro tempo: lo facciamo forti della bussola della sua Parola che ci porta nei luoghi – nelle “periferie”, per usare un termine tanto caro a Papa Francesco quanto impegnativo per noi – dove Lui ci ha detto di stare con certezza. Si tratta di un pellegrinaggio che ce Lo fa incontrare, oltre che nei Sacramenti, nei fratelli e, soprattutto, nei più poveri di loro, in quelli che soffrono nella loro carne la dura e mortificante esperienza di vecchie e nuove povertà. Se a costoro ieri Gesù ha mandato i primi testimoni dell’Ascensione, oggi invia noi con la responsabilità di porre segni concreti e visibili di speranza: in questa capacità di ridare vita si gioca la stessa fecondità della nostra fede.
+ don Nunzio Galantino