La Liturgia della Parola di questa quarta Domenica di Pasqua prosegue nel suo compito di aiutare i singoli cristiani e l’intera comunità a riconoscersi come discepoli del Signore Risorto. Alla luce della Parola di Dio si rafforza così la consapevolezza della nostra identità di credenti in Cristo, che il Vangelo di oggi compendia con l’immagine del rapporto tra il pastore e il suo gregge: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. Così il Vangelo di Giovanni radica l’identità del credente in un rapporto segnato da alcuni verbi, che descrivono altrettanti atteggiamenti, garanti dell’autenticità del nostro appartenere a Gesù e del nostro essere sua comunità.
Il pastore, in relazione con le sue pecore, “parla”, “conosce”, “dà la vita eterna”, “custodisce”. Il Buon Pastore – Gesù – dunque è attento a ciascuno di noi, ci cerca, rivolgendoci la sua parola, conoscendo in profondità il nostro cuore, in termini di progetti realizzati e di speranze a volte deluse. A noi, così come siamo, Egli “dà la vita eterna”. Dà cioè la possibilità di vivere una vita autentica e piena, senza fine. Ci guida con amore, perché possiamo attraversare, lungo le tappe della vita, sentieri spesso impervi e percorrere strade talvolta rischiose, ma belle.
Ai verbi e ai gesti che descrivono il modo in cui Gesù, il Buon Pastore, ci tratta, fanno da riscontro i verbi che riguardano il gregge: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. Sono verbi e gesti che – lo sappiamo bene – non risolvono magicamente le difficoltà individuali né quelle comunitarie. Attraverso essi, però, Giovanni ci indica in che maniera noi dobbiamo corrispondere agli atteggiamenti teneri e “pastorali” di Gesù. Ascoltare e riconoscere la sua voce, infatti, implica intimità con Lui; un’intimità tale da suscitare il desiderio di seguirlo, uscendo dal labirinto del non senso e abbandonando gli atteggiamenti servili, per incamminarsi su strade nuove, indicate da Cristo stesso. Se non vivremo il nostro rapporto con Cristo coniugando i verbi dell’intimità tipici del rapporto tra pastore e pecore, difficilmente le nostre comunità potranno sentire e far sentire la sua voce che chiama alla sequela. E quando nelle nostre comunità manca il desiderio di vivere così il rapporto con Gesù, è inevitabile che si facciano strada altri modi di pensare e vivere non in armonia col Vangelo.
Dobbiamo sempre ricordare, dunque, che Gesù è l’unico Pastore e noi tutti siamo il suo gregge. Ecco allora l’impegno che deve trovarci sempre disponibili: sicuri e fiduciosi, dedichiamoci ad ascoltare la sua Parola, mentre con amore Egli scruta la sincerità dei nostri cuori. E da questa continua “intimità” scaturisce la gioia della sua sequela che conduce alla pienezza della vita eterna.