La Liturgia della Parola di questa domenica ci parla di peccato e di redenzione, presentandoci due storie umane, in cui l’ultima parola – di misericordia e perdono -, è pronunciata da Dio (o da un suo profeta), perché chi ha peccato possa riconoscere i propri errori, rialzarsi e ricominciare una nuova vita.
Nella sua casa, Davide (prima lettura) dà dimostrazione di un uso scaltro e malvagio dell’intelligenza e del potere, fino a provocare la morte di un innocente. Il cuore di Davide, spinto al peccato dalla passione, viene però “recuperato” dal profeta Natan, che lo conduce al riconoscimento della propria colpa e alla conversione. Sui gesti di morte compiuti da Davide vengono così pronunziate parole di vita: “Il Signore ha rimesso il tuo peccato: tu non morirai”.
Nella casa di Simone (Vangelo) ha luogo un’altra storia di peccato e redenzione. Su una donna viene pronunziato un giudizio senza appello (“è una peccatrice”), con la pretesa di far diventare questa condanna l’unica chiave di lettura della sua storia e del suo cuore.
Ma Gesù non la pensa così. Al giudizio e alla condanna perentori pronunziati da Simone, padrone di casa, si contrappone l’affermazione perentoria, ma misericordiosa ed aperta alla vita nuova, di Gesù: “I tuoi peccati sono perdonati!”.
Simone ospita Gesù nella sua casa, ma non è disponibile ad accettarne il cuore né la logica. Per la sua mentalità farisaica, infatti, se fosse un vero “profeta” Gesù dovrebbe denunciare chi è quella donna, umiliandola e scacciandola: è giusto prendere le distanze dal peccatore per non contaminarsi con lui! Ma Gesù, con i suoi gesti e le parole, insegna invece che il vero “profeta” non giudica per condannare e distruggere, ma accoglie chi si duole dei propri peccati con sincerità, ridandogli fiducia e speranza.
A Simone, che pure ha accolto Gesù nella sua casa, appare eccessivo l’atteggiamento della donna, col suo vaso di profumo versato ed i gesti d’amore nei confronti Maestro. Simone è un fervente fariseo e un conoscitore della Legge, ma ha una grande carenza: non sa cosa è l’amore e cosa l’amore fa fare! Quella donna, invece, pur ferita dal suo peccato, sa ancora amare e chiedere perdono. Col risultato che “sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco”.
Un insegnamento valido ed attuale per ciascuno di noi, tanto a livello personale quanto comunitario. La Chiesa di Gesù Cristo, dunque, è chiamata a testimoniare ed incarnare la misericordia “ricostruttiva” di Dio, che denuncia con franchezza il peccato, ma ama e recupera il peccatore. Un’esigenza evangelica che, particolarmente in quest’anno giubilare, deve spingerci a dare speranza ed incoraggiamento a chi, sotto il peso delle proprie cadute, fatica a rialzarsi e rimettersi in cammino.
» XI Domenica del Tempo Ordinario, 12 giugno 2016