Questa domenica ci reintroduce pienamente nel cammino liturgico del Tempo Ordinario. Nelle letture oggi proclamate sale forte l’invito di Dio rivolto a noi, suoi figli: non abbiate timore, non abbiate paura! Un invito, dunque, liberante e portatore di fiduciosa speranza contro ogni minaccia, reale o apparente, che la vita ci presenta. Ma non si tratta di una banale esortazione a recuperare un animo forte e coraggioso di fronte alle traversie e ai pericoli. No, si tratta di una precisa certezza che il Signore ci chiede di porre, ogni giorno e in ogni momento, a fondamento del nostro cammino: Dio si cura di noi, poiché grande è il nostro valore ai suoi occhi.
E’ proprio questa certezza che sostiene l’animo del profeta Geremia (prima lettura), nel momento della persecuzione e della minaccia: “… il Signore è al mio fianco come un prode valoroso… a te ho affidato la mia causa!”. Una certezza che, nella fede, Geremia vede già realizzata, tanto da rendere grazie a Dio con tutto il cuore: “… lodate il Signore, perché ha liberato la vita del povero dalle mani dei malfattori”.
Anche Gesù (Vangelo) esorta gli apostoli, mentre li prepara alla prima esperienza di missione, a “non temere”, a non lasciarsi bloccare dalla paura. Ma di quali paure parla Gesù? Il riferimento è a tre situazioni che gli apostoli dovranno affrontare nel loro impegno di evangelizzazione. Innanzitutto l’ostilità di chi vorrebbe mettere il “silenziatore” alla Parola di Dio, facendo tacere chi la annuncia; poi la minaccia di chi perseguita – realtà purtroppo ancora oggi attuale – i testimoni della fede in Cristo, fino ad insidiare la loro stessa vita; infine – e forse si tratta della paura peggiore – la sensazione
che, in taluni passaggi esistenziali, Dio stesso li abbia abbandonati, restando distante e silenzioso.
Non temete, dice Gesù, perché pur attraversando queste e altre insidie, la vostra vita in realtà è saldamente nelle mani di Dio, che vi ama e vi custodisce!
Non temete gli uomini, che vogliono con arroganza spegnere la forza evangelizzatrice, magari servendosi della paura generatrice di ogni altra paura, cioè la paura della morte. Nulla, infatti, essi possono contro “l’anima” (in ebraico “nefesh”, la vita che si riceve direttamente dalle mani di Dio), cioè contro la relazione, la dipendenza, la comunione con Dio: questa nessuno può toglierla ai discepoli, poiché è dono di Dio. La sola paura che il discepolo deve coltivare è quella di rompere i legami con Dio, di perdere la comunione con lui. Allora sì che la perdizione è assoluta e per sempre.
L’unico timore, dunque, che deve tenerci desti durante il cammino della vita è la possibilità di perdere questo dono, di vanificarlo rinunciando a vivere secondo il Vangelo. E ciò dipende solo dalla nostra continua risposta alla grazia di Dio.