Si sa, è sempre faticoso ritagliarsi spazi di pacata riflessione su ciò che realmente serva per fare di un Paese una realtà nella quale, col contributo di tutti, venga davvero promossa e rispettata la dignità di ogni persona. Ed è più faticoso farlo nei periodi in cui, in maniera frenetica e da parte di tanti, entra in gioco la legittima voglia di sedersi alla guida del “carro”. È allora che i legittimi desideri rischiano di mescolarsi con la puzza del formalismo ipocrita o dell’ interesse camuffato, gettando discredito sull’ impegno politico serio di tanti. Eppure penso che una riflessione sul tanto invocato “Bene comune” potrebbe aiutare a mettere un po’ di ordine. Soprattutto se ricordiamo che la vicenda dell’ ultimo secolo ci ha insegnato a pensare il “Bene comune” non solo in termini di risorse oggettive o di beni materiali di una comunità, di una collettività, di un Paese, del mondo intero, ma anche in termini di risorse umane e di valori “spirituali”.
Insomma, porzione rilevante del “Bene comune” di un Paese sono i suoi cittadini; è l’essere un popolo educato, attivo, responsabile; è una società civile capace di iniziative, sinergie e imprese, individuali, di gruppo e comunitarie; è una classe politica intelligente e generosamente interessata alla vita e alla promozione della “polis”; è una cultura di qualità e una ricerca scientifico-tecnologica valida e solida. Al “Bene comune” concorrono in maniera decisa anche i valori, l’onestà, l’eticità, la bontà e la religiosità di un popolo e dei suoi cittadini. …. (testo completo)
Il Sole 24 Ore – Editoriali e commenti – 10 febbraio 2018, pag. 6