Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Sarcasmo – Qualora non bastasse la constatazione diretta, si può contare anche sull’autorevole parere di un linguista del McAllister College per riconoscere che il sarcasmo è divenuta la principale figura retorica adottata dalla società moderna. Secondo attenti analisti del costume e della comunicazione ci stiamo decisamente infilando in una sorta di dittatura del sarcasmo, quasi una istituzionalizzazione di esso. Probabilmente per la sua efficacia comunicativa, sia nelle relazioni private sia nei dibattiti pubblici. Parliamo comunque di una efficacia a esclusivo vantaggio di chi sceglie di marcare la propria supremazia su qualcuno, tendendo in tutti i modi alla sua delegittimazione.
All’origine del termine tardo latino sarcasmus vi è la parola greca sarx (carne) dalla quale derivano il sostantivo sarkasmòs ed il verbo sarkàzein, col significato di lacerare le carni, dilaniare, tagliare un pezzo di carne dal corpo vivo di una persona. L’etimo conferma quindi il carattere non positivo ancorché volontariamente beffardo e violento del sarcasmo, definito la “forma più bassa di arguzia”. E, proprio per questo, è improvvido ritenere che il sarcasmo possa essere frutto di un’intelligenza sottile. Il sarcasmo non è segno di intelligenza. È piuttosto, come ha scritto Sartre, “il rifugio dei deboli”. Vi ricorre chi, sicuro e soddisfatto di sé, mette in campo una forte carica aggressiva per vedersi riconosciuta una presunta superiorità. Per tutte queste ragioni, il sarcasmo non va confuso con l’ironia. L’ironia – e soprattutto l’autoironia – è una sorta di sistema immunitario della mente, che consiste benevolmente in una dissimulazione (dal greco eirnèia) e che finisce per essere anche divertente. Ben dosata, crea leggerezza, sdrammatizza, accorcia le distanze; tanto da far dire a V. Hugo: “La libertà inizia dall’ironia”. Il sarcasmo invece, strumento tipico del cinico, non ha niente di divertente. È divertente solo nella misura in cui è divertente l’umiliazione, la delegittimazione dell’altro e il trionfo della volgarità violenta. Per tutto questo, il sarcastico non costruisce. Soprattutto non ama il dialogo perché, mancando di ragioni vere, crede che bisogna sopraffare gli altri, non convincerli. In questo modo logora i rapporti come li logora qualsiasi forma di bullismo. Non è un caso che qualcuno definisca il sarcasmo “bullismo verbale”, il cui scopo non è il confronto o il costruttivo scambio di opinioni, bensì quello di umiliare il soggetto cui è rivolto il sarcasmo. Esercizio tipico di personalità segnate da individualismo esasperato e da prepotenza, dotate del peculiare talento di disprezzare chi non consente alle proprie mire. Ciò fa del sarcasmo una risorsa non solo pericolosa, ma addirittura letale. Soprattutto quando è usata da chi detiene una qualsiasi forma di potere, esercitato attraverso un eccesso di parole e la pretesa di avere consapevolezza di tutto. Non certo del limite della propria corta intelligenza.