Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Nell’Ars amatoria Ovidio sembra, di primo acchito, spendere parole ammirevoli per la riservatezza. Nel secondo libro infatti si legge: «Exigua est virtus praestare silentia rebus, et contra gravis est culpa tacendi loqui» (603-604). Senonché, il contesto nel quale il poeta latino colloca soprattutto la seconda parte della sua affermazione sembra confondere la riservatezza con la reticenza: «È virtù di poco conto – egli afferma – astenersi dal mettere in piazza i segreti; al contrario, è colpa grave parlare di argomenti che vanno taciuti».
In coerenza col tema affrontato nell’Ars amatoria, tra gli argomenti per i quali andrebbe seguita l’aurea regola della riservatezza/reticenza, vi sono amori furtivi e relazioni clandestine.
Solo un approccio superficiale alla riservatezza ne riduce il significato al diritto di vedere rispettata la propria immagine. In una società come la nostra, tutta orientata alla promozione della socialità in ogni ambito della vita, la riservatezza è molto di più. È l’esperienza che, oltre a garantire il diritto alla salvaguardia della propria immagine, assicura alla persona lo spazio necessario per gestire i tempi e le tappe della propria crescita e dei propri progetti. A garanzia della propria integrità psicologica e della sua identità.
È disumano negare a una persona spazi di riservatezza esclusivi. Non penso vi siano motivi che giustifichino l’assenza di tali spazi. Veri e propri santuari nei quali ciascuno di noi mette al sicuro tutto ciò che lo rende unico, al riparo da etichette e giudizi.
Questa riservatezza non ci viene data come un cromosoma. È una conquista che esige, oltre a indispensabili condizioni esterne, un continuo discernimento che aiuti a distinguere ciò che è da comunicare e ciò che va conservato nel proprio segreto. Per farlo crescere, al riparo dall’altrui sguardo; oppure per ridurne gli eccessi, senza che siano altri a dettare tempi e modalità.
Vivere così la riservatezza non rende poco socievoli. Permette invece – se dobbiamo dar credito a C. G. Jung – di porre basi sicure per coltivare una feconda apertura verso la vita. «Come numerose testimonianze storiche fanno fede – scrive il padre della psicologia analitica – l’introversione è fonte di fecondità, d’ispirazione, di rigenerazione, di rinascita» (Simboli della trasformazione).
In un mondo che spinge continuamente a proiettarsi verso l’esterno per raccattare qualche like, la strada verso i significati veri delle parole e delle relazioni viene aperta dalla persona riservata, capace di regalarsi il silenzio, grembo dal quale nascono parole sensate e nel quale possono maturare scelte efficaci.