Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Una eventuale mappa concettuale della parola rischio non può evitare collegamenti col carattere pericoloso, incerto o probabile di eventi e decisioni che prevedono l’insorgere di un danno.
Per quanto incerto nella sua etimologia, la parola rischio ha assunto nel tempo un significato abbastanza definito, frutto della convergenza delle sue principali derivazioni. Con una trafila non poco articolata, il campo semantico della parola rischio va dall’arabo rizq, col significato di «onere non monetario» per il mantenimento delle truppe di occupazione, al greco-bizantino rhizikò, «sorte, destino» e al latino classico resecare, che evoca un «pericolo incombente», al quale è connessa anche l’idea di azzardo.
La diffusa convinzione che correre rischi voglia dire agire con incoscienza ha contribuito a circondare di sospetti questa parola. Ha portato spesso a preferire l’inazione al mettersi in gioco, facendo dimenticare che la vita è una successione di scelte a fronte di sollecitazioni e interrogativi per lo più inediti, che accompagnano le nostre giornate e le nostre relazioni.
Proprio per questo non ha senso mettersi i piedi in tasca per evitare di cadere. Se è possibile infatti assicurarsi contro rischi di natura ambientale, non è possibile farlo nei confronti di quelli che toccano la nostra esistenza. Questi, se da una parte scuotono le certezze, dall’altra arricchiscono la persona e contribuiscono alla costruzione della personalità e alla crescita della responsabilità del singolo. Soprattutto quando la decisione di affrontare un rischio è frutto sia del desiderio di esercitare la propria libertà, sia della voglia di andare oltre la paura che paralizza; per sentirsi inseriti, con gli altri, in quella che il sociologo Ulrich Beck ha efficacemente definito la «società del rischio». Essere consapevoli di farne parte vuol dire accettare il senso di precarietà e di vulnerabilità che va gradualmente prendendo il posto dell’eccessiva fiducia nella razionalità e nel progresso dell’uomo moderno; vuol dire imparare a considerare il rischio come orizzonte globale nel quale siamo chiamati a far interagire le nostre attese, con la ragione e con i sentimenti.
Per questo sono ricchi di saggezza i seguenti versi dello scrittore e poeta Joseph Rudyard Kipling: «Vivere è rischiare di morire / Sperare è rischiare di rimanere delusi / Provare è rischiare di fallire / Ma i rischi devono essere corsi, perché il rischio più grande è quello di non rischiare / La persona che non rischia nulla, non fa nulla, non ha nulla e non è nulla / Ha perso la sua libertà perché ha rinunciato a rischiare / E quindi a vivere».