Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole
Il carattere sempre più complesso del nostro mondo e quello altrettanto articolato delle nostre vicende, personali e comunitarie, sembrano essere diventati il terreno di coltura ideale della rigidità. Nei gesti, nelle parole e negli sguardi. La natura complessa del mondo e del nostro vivere in esso non sempre, infatti, e non in tutti provoca il desiderio di conoscere, di capire, di distinguere e di attendere. È più facile percorrere comode scorciatoie cognitive ed affettive, risolvendo la complessità con la semplificazione, anticamera della rigidità. L’una e l’altra si nutrono della pigrizia mentale, che caratterizza soprattutto i momenti storici in cui esigue sono le risorse investite nella formazione e nella ricerca.
La rigidità, frutto di semplificazione, non solo dispensa dall’attesa ma allontana anche la preoccupazione di dover incrociare lo sguardo e la storia concreta delle persone. È l’arma ottusa – contrabbandata per coerenza e rigore – rimasta nelle mani e sulle labbra di chi non sa proprio che farsene della ragione, e tanto meno delle emozioni e dei sentimenti. Dimenticando che, è vero, la parola “rigidità” condivide la stessa etimologia con la parola “rigore”, senza però esserne sinonimo. Derivano entrambe dal verbo latino rĭgēre, che significa “essere o diventare duri per il freddo”. Finché ci riferiamo alle condizioni climatiche, rigidità e rigore hanno significato analogo: vi sono temperature rigide, ma vi sono anche i rigori dell’inverno.
In senso metaforico, però, “essere rigoroso” è tutt’altro che “essere rigido”. Il rigoroso tiene in gran conto la ragione, ascolta i sentimenti e non esclude le emozioni. A differenza dell’atteggiamento rigido – che assolutizza, dopo aver semplificato, un solo punto di vista – il pensiero rigoroso accoglie tutte le possibilità che derivano dall’incontro fecondo e creativo di sentimenti, volontà e ragionamenti. Il pensiero rigido nega ogni alternativa, anzi impiega ogni mezzo per mostrarne l’inconsistenza, l’inutilità e l’inefficacia. Lo sguardo della persona rigida, non solo quello fisico, è uno sguardo pietrificante. Come lo sguardo di Medusa, nel mito greco delle Gòrgoni.
Papa Francesco mette in guardia dalla rigidità «che nasce dalla paura del cambiamento e finisce per disseminare di paletti e di ostacoli il terreno del bene comune». In cambio dell’apparente sicurezza, la rigidità ci consegna all’immobilismo e, molto spesso, allo squilibrio nelle relazioni con le persone e con la stessa natura. Vale anche per la rigidità quanto Bonhoeffer diceva della stupidità, «che non può essere vinta dagli insegnamenti, ma solo da un atto di liberazione» (ODB, VIII, p. 30).
Alla rigidità, che andava segnando la sua vicenda umana e spirituale, Leopardi oppose l’immagine e la vitalità della ginestra, simbolo dell’uomo umile e saggio. Scelta come nucleo metaforico dell’omonima lirica, piuttosto che di rassegnata remissività, la “lenta ginestra” mostra un altro modo per continuare a far vivere la sua bellezza e i suoi colori, pur in condizioni avverse.