Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Riforma – «Niente ha bisogno di riforme come le abitudini… delle altre persone», ha scritto in maniera ironica M. Twain.
L’etimo rimanda al latino re-formare: dare nuova forma. Con il significato più ampio di “correggere”, la riforma è un intervento sostanziale teso a modificare, con metodo non violento, uno stato di cose, un’istituzione, un ordinamento o una legge, al fine di rispondere a sopravvenute necessità e soprattutto a esigenze di rinnovamento e di adeguamento ai tempi.
La riforma non riguarda e non è solo intervento sulle strutture. Essa è anche azione volta a modificare un atteggiamento morale, religioso, culturale, sociale o politico. Quando riguarda la persona, la riforma mira a modificarne l’abilità, le virtù e le stesse abitudini. Intraprendere un percorso di riforma di sé – ricorda T. Mann – «è un’azione attiva, un trionfo positivo». Come trionfo positivo è qualsiasi processo di riforma che riguarda la vita comune attuato nel rispetto dell’altro, senza demonizzarlo e soprattutto senza umiliarlo o insultarlo.
L’attività riformatrice è comunque sempre faticosa e ardua. Tutti infatti vogliono le riforme ma guai a chi vi mette mano realizzandole!
Spesso le abitudini, gli stili, l’andamento noto delle cose – siano esse della pubblica amministrazione come di quella familiare, sociale, individuale – rappresentano una sicurezza dalla quale con fatica ci si stacca. Anche quando si avverte l’esigenza di una modifica, piccola o grande che sia.
Dare nuova forma alle cose, alla quotidianità, alla vita può risultare talvolta un’azione non solo necessaria, ma vitale e soprattutto indispensabile. Non solo quando ci si accorge che la strada intrapresa – al di là dell’essere una strada comoda perché conosciuta – non porta più da nessuna parte, ma anche quando si avverte un irrefrenabile desiderio di “ottimizzazione”. È come un ritorno alla purezza della fonte per rigenerarsi e riprendere il cammino verso nuovi traguardi.
Riformare è in fondo cogliere un’opportunità per cambiare radicalmente e spesso in modo irreversibile ciò che non soddisfa più o ciò che potrebbe soddisfare meglio.
A seconda della natura della riforma, si possono “salvare” vecchie ma buone abitudini, vecchie ma buone regole, vecchie ma buone logiche e abbracciarne altre, altrettanto buone. Sì, perché la riforma che richiede cambiamento, ma richiede anche il tempo per valutarne gli effetti. Non è possibile infatti chiamare “buona” una riforma se prima non si è dato il tempo sufficiente per sperimentarne esiti e osservarne i risultati.
La storia è piena di riforme che non hanno sortito gli effetti sperati o, al contrario, piena di riforme che presentavano il carattere della tragedia e della lacerazione e poi, col tempo, si sono rivelate benefiche e positive. In ogni caso «Non esistono riforme indolori: ogni vera riforma mette fine a un privilegio» (C. Cassola).
» Riforma. Azione attiva positiva e faticosa