Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / riconoscimento – Sostantivo derivato dal latino recognoscere – composto da re (di nuovo) e cognoscere (conoscere) – il riconoscimento, in senso stretto, è l’atto col quale si riporta alla mente l’identità di un oggetto, un’opera d’arte, una città, un suono o di un sapore che sembravano dimenticati.
Il riconoscimento, al di là delle cose, può riguardare anche le persone e andare così oltre il semplice ravvisarne i caratteri esterni. In questo caso, il riconoscimento è di più: è prendere atto delle qualità di una persona, riconoscerne i meriti e, a ciò, far seguire sentimenti di apprezzamento e di gratitudine nei suoi confronti.
Soprattutto quest’ultimo significato della parola riconoscimento sta alla base del Preambolo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dove «il riconoscimento della dignità intrinseca e dei diritti uguali e inalienabili di tutti i membri della famiglia umana [è ritenuto] il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo».
Che nell’atto del riconoscimento, poi, siano implicate tutte le facoltà dell’uomo, lo afferma Aristotele quando parla del riconoscimento come «elemento centrale della tragedia e della narrazione complessa, perché mette in scena l’affiorare della conoscenza: non in un processo teorico astratto, ma nella carne stessa, nei sentimenti, nell’intelligenza, degli esseri umani».
Un passo avanti nella semantica della parola riconoscimento lo si registra alla fine del Settecento, a partire soprattutto da Rousseau. La riscoperta dell’interiorità – ritenuta una componente che concorre in maniera decisiva a definire l’identità di una persona – ha fatto passare la convinzione che alla formazione dell’identità personale contribuisce in maniera rilevante la consapevolezza di ciò che si è ed il riconoscimento o il mancato riconoscimento di sé da parte di altre persone. A partire da questa constatazione, si giustifica il legittimo bisogno di riconoscimento da parte degli altri e quindi il bisogno di sentirsi approvati, ammirati, stimati e… riconosciuti, appunto. Un bisogno che può però raggiungere livelli patologici. Si pensi al bisogno spasmodico di riconoscimento che porta a conformarsi a modelli prevalenti di bellezza o di perfezione del corpo da parte di tanti, non solo giovani! Quanti, per ottenere un riconoscimento sociale, cadono nella trappola dell’anoressia! E quanti, pur di appartenere a un gruppo ed essere da questi “riconosciuti”, si sottopongono a riti e rituali iniziatici assurdi! E che dire di adulti che, spinti dal bisogno compulsivo di riconoscimento, svendono se stessi, modificano i propri comportamenti e le stesse loro convinzioni?