Riconoscimento

Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Riconoscimento – Derivata dal verbo latino re-cognoscere, la parola riconoscimento è l’atto col quale si identifica qualcuno o qualcosa; è la consapevole presa d’atto dell’esistenza o del valore di qualcuno o di qualcosa; è il mezzo concreto con cui si attestano i meriti e si dimostra apprezzamento verso una persona. Vi è anche una degenerazione e un uso strumentale del riconoscimento; della serie: “Lei non sa chi sono io!”. Qui, con parole e/o a gesti, si pretende il riconoscimento e si mira ad imporre il proprio potere. In ambito informatico, riconoscimento è il procedimento che identifica e converte, rendendoli comprensibili per il computer, i dati di input.
L’importanza del riconoscimento nella vita del singolo e nelle dinamiche sociali è attestata dall’attenzione ad esso riservata da Hegel, Ch. Taylor, Habermas, Husserl e soprattutto P. Ricoeur, con il terzo saggio dell’opera Percorsi di riconoscimento.
Con le dovute differenze, tutti vedono nel riconoscimento il primo motore del progresso umano (A. Honneth) e un passo decisivo per vivere nella società complessa e per risolvere i conflitti che la caratterizzano. Si sa, i conflitti nascono e crescono per lo più sulla base del misconoscimento e della non conoscenza. Il misconoscimento è l’inizio della negazione di ogni relazione. Non conoscenza e misconoscimento alimentano sentimenti di autopreservazione e di crescita a danno degli altri. Avvelenano le relazioni con competizione esasperata, diffidenza sistematica, smodato desiderio di gloria e, appunto, di riconoscimento … per sé.
Lo stato di diffusa belligeranza, che caratterizza i diversi livelli della vita sociale, cresce e si nutre grazie all’assenza di riconoscimento. Secondo la tradizione giusnaturalistica se ne può venire a capo solo attraverso un contratto o patto (covenant). Per Hegel invece è indispensabile lasciarsi ispirare dal persistente e comune desiderio di essere valorizzati nell’ambito dell’amore, del diritto e della stima sociale. Un vero e proprio principio etico, per il filosofo di Jena. In assenza del quale – assieme all’iniziale interiorizzazione dell’immagine negativa di sé e degli altri – si innescano forme di rivalsa, anche violente. Il riconoscimento, in quanto consapevolezza e accettazione di sé e dell’altro per quello che è e non per quello che dovrebbe essere, apre la strada all’arricchimento e alla definizione della propria identità e apre la strada al superamento dello stato di diffusa belligeranza.
Ciò fa del riconoscimento, secondo Ricoeur, il passo indispensabile per uscire dalla logica narcisistica, sterilmente identitaria ed autoreferenziale del soggetto. Un passo ulteriore! La consapevolezza di sé e dell’altro come appartenenti a un comune sistema di relazioni – fatto di storie, culture, pensieri ed emozioni particolari e non omologabili – nutre l’attitudine alla restituzione “perché si riconosce che ciò che si ha [e si è] è frutto di ciò che si è ricevuto ed è il frutto di ciò che si è generato insieme agli altri” (C. Penati).

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