Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
A ispirare questa parola è stato un libro – Gesù il re ribelle – e il modo di leggere le scelte e le parole del personaggio centrale da parte del suo autore (G. Busi).
L’originalità, e in parte il fascino, delle pagine scritte dall’esperto di mistica ebraica e di storia rinascimentale la trovo riassunta in un passaggio, che sposta la prospettiva dalla quale normalmente ci si pone quando si pronuncia la parola “ribellione”, derivata dal verbo latino, composto da re (di nuovo) – bellāre (far guerra). Ribelle è letteralmente chi «ricomincia a (o non ha mai smesso di) far guerra», rifiutando ogni forma di sottomissione, per affermare la libertà di essere sé stesso, proponendo la sua persona e dando seguito possibilmente alle proprie idee e alle proprie progettualità. Con altri. Perché la dimensione collettiva della ribellione converte all’impegno più di quanto non siano in grado di farlo i clamori dei solitari.
Quella del re ribelle, descritta e documentata da Busi, è una ribellione decisamente lontana dal sonno delirante dei grandi ritmi unanimi, dalla rigidità passiva delle strutture militarizzate, dall’entusiasmo cieco e dall’opinione irresponsabile e prefabbricata. Poggia piuttosto, come testimoniano gli episodi evocati e le parole pronunziate, sul gusto dell’incontro, la forza del dialogo, l’efficacia dell’impegno, il coraggio di aprire la porta al diverso.
«Gesù è il re che si ribella. Non si sottomette al potere. Non si piega ai romani, rifiuta i sacerdoti, allontana da sé la presunzione di chi è colto ma non pio. Ripudia i giudici, mescola tempo sacro e tempo profano. La prima ribellione, la più paradossale, la compie contro sé stesso» (p. 72). Prendendo le distanze da ogni forma di potere che quanti lo circondavano, in alcuni momenti, erano disposti a riconoscergli. E che lui ha rifiutato, gettando ombre lunghe su qualsiasi tentativo di essere apparentato a chi il potere lo gestiva, anche in ambito religioso, fino a ridurlo a un sistema difficile e riservato a pochi privilegiati.
È una ribellione non fatta di parole, ma di scelte concrete, che vedono Gesù parlare liberamente da solo con una donna samaritana, svergognare gli accusatori di un’adultera mandando in frantumi il progetto religioso di lapidarla, farsi accompagnare nella sua missione, dopo averlo chiamato, da un capo dei pubblicani. La ribellione diventa lo strumento privilegiato per predicare e realizzare il Regno di chi, diceva lui, lo aveva mandato. Seguendo i suoi gesti, le sue scelte e le sue parole, si capisce che il Regno che predica e va realizzando è il mondo come Dio lo vuole. E che ha mosso i suoi primi decisivi passi, come raccontano i Vangeli dell’infanzia, in un piccolo villaggio della Giudea: Betlemme.