Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
La Resurrezione è l’«impronta dell’agire di Dio nella storia» (D. Bonhoeffer). Tanto decisiva per san Paolo da fargli scrivere: «Se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede» (1 Corinti 15,14). Il riferimento, qui, è a ciò che i Vangeli dicono sia capitato a Gesù di Nazaret, tre giorni dopo la sua morte e sepoltura.
Per estensione, nel linguaggio comune, si dice «risorta» una realtà che riprende a vivere o una persona che imprime una svolta radicale alla propria vita. Ad esempio, una città dopo un terremoto o un bombardamento. Oppure una persona che torna a una vita normale dopo una grave malattia, che riallaccia relazioni significative dopo esperienze destabilizzanti o che riprende percorsi di crescita interiore dopo momenti significativi di smarrimento.
Sorpresa e stupore sono i sentimenti che accompagnano esperienze di resurrezione. Soprattutto quando ci si sente rimessi in gioco mentre tutto sembrava irrimediabilmente perduto. A causa, semmai, di situazioni pesanti che soffocano ogni speranza, come la pietra rotolata all’imboccatura della tomba di Gesù.
Netta è comunque la differenza tra la speranza cristiana e quella legata ai racconti mitologici di superamento del limite della morte. La prima «rinvia gli uomini alla loro vita sulla terra in modo nuovo. […] Il cristiano non ha sempre a disposizione un’ultima via di fuga dai compiti e dalle difficoltà terrene nell’eterno, come chi crede nei miti della redenzione, ma deve assaporare sino in fondo la vita terrena come ha fatto Gesù» (Bonhoeffer, Resistenza e resa, lettera del 27/VI/44). Accettare la possibilità di resurrezione non ci rende, quindi, estranei alla storia.
Il legame serio tra resurrezione e speranza di riscatto sui tanti volti della morte emerge in maniera problematica anche nella poesia Pasca, scritta in dialetto friulano da Pasolini nel 1947; apparsa poi nel 1949 nella raccolta Dov’è la mia patria e infine ripubblicata nel 1954 con un nuovo titolo: Fiesta. In questa seconda edizione è eliminata però l’ultima strofa, nella quale un angelo rosso con la spada faceva presagire il riscatto del protagonista, un ragazzo povero. Pasolini non voleva che la Pasqua assumesse il significato di una resurrezione/rinascita sociale. Impossibile, egli scrive, finché «li ciampanis a sunin pai siòrs» (le campane suonano per i ricchi).
La luce della Resurrezione ricompare nel Vangelo secondo Matteo. Qui il sepolcro si scoperchia, c’è il lenzuolo senza il corpo di Gesù e l’irruzione del canto del Gloria della Messa luba, che raccoglie l’eredità musicale del popolo Bantu.