Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Resistenza. Parola alla quale tempo ed eventi particolari hanno ampliato il campo semantico, caricandola di connotati non presenti originariamente nella sua etimologia.
Utilizzata in fisica, ingegneria, medicina, psicologia e in vari studi sociali, la parola resistenza deriva dal tardo latino re-sistentia, collegato alla radice sanscrita stha (rintracciabile anche nel verbo sistere), che esprime l’idea di rimanere/restare fermo, saldo. Il prefisso re, che in genere definisce il movimento all’indietro, qui rafforza l’idea del restare fermo nella propria posizione, per reggere l’urto opponendosi.
Basta questo rimando etimologico per segnare la differenza tra la resistenza e la sempre più invocata resilienza. Soprattutto quando la resilienza, da valore capace di trasformare le avversità in opportunità, induce a rinunziare al cambiamento e alla voglia di contrastare ogni forma di tracotante prepotenza.
L’argine a questa possibile deriva può venire solo da una intelligenza viva, pronta a identificare e resistere alle blandizie del potere e del consenso, disposta a spendersi per difendere valori irrinunciabili. È ciò che, in alcuni periodi storici, ha trasformato la resistenza in ribellione, e questa in lotta aperta. Ne sono nati cambiamenti radicali, che hanno contribuito a conferire alla resistenza un carattere dinamico, carico di visioni inedite. In questi casi la parola resistenza più che «stare saldo» significa «scelta di campo»: la resistenza è così diventata Resistenza, come con la guerra partigiana in Italia.
L’intensità e la forza con le quali si avverte la cogenza di certi valori sono capaci di imprimere dinamismo alla resistenza e dettare azioni significative di ribellione. Come quella di Antigone che seppellisce il corpo dilaniato del fratello Polinice, violando le leggi inumane della città; e come la resistenza elevata a istanza morale da D. Bonhoeffer. Tanto da portare il teologo luterano a partecipare attivamente all’attentato contro Hitler e a scrivere: «I limiti tra resistenza e resa non si possono determinare sul piano dei principi; l’una e l’altra devono essere presenti e assunte con risolutezza. La fede esige questo agire mobile e vivo» (Resistenza e resa, lettera del 21 febbraio 1944).
È la stessa tormentata ispirazione che ritengo alla base del primo pannello (Resistenza) del trittico nel quale l’animo sognante e poetico di Chagall fa i conti col dolore e la distruzione che imperversano su Vitebsk (Bielorussia) e i suoi abitanti. Alcuni fuggono mentre altri si oppongono allo sterminio. Tutti illuminati da un raggio di luce che viene da Cristo, che si carica del dolore di tutti.