Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Privazione – Si utilizzano sempre più spesso, come sinonimi, le parole privazione e deprivazione. Eppure i due termini hanno significati diversi. La privazione indica una situazione di mancanza assoluta di qualcosa che potrebbe o dovrebbe essere presente; la deprivazione indica invece il venir meno di realtà già possedute. Nell’analisi logica, il complemento di privazione indica ciò di cui una persona, un animale o una cosa sono privi.
Tenendo sullo sfondo queste prime osservazioni, notiamo che l’uso della parola privazione porta con sé un notevole carico semantico. A cominciare da Aristotele per il quale στέρησις (privazione) – contrapposta alla ἕξις (possesso) – corrisponde paradossalmente al momento in cui la materia acquista un carattere (forma) che le manca. Per questo essa è anche movimento ed evoluzione verso ciò che è buono e divino, quindi desiderabile. Forse su questo sfondo va collocata la concezione della privazione come decisione di fare spontaneamente a meno di qualcosa di materiale o di immateriale già posseduto. Si può scegliere di fare a meno di qualcosa per i motivi più diversi; ed è la natura dei motivi a conferire valore alla privazione. La scrittrice C. Campo parla addirittura di “privazione [che] è subito nutrimento”. Vero soprattutto quando ci si priva di qualcosa per farne dono o per raggiungere obiettivi più alti. Privarsi, in questi casi, è come liberarsi di un peso per scalare più agevolmente la montagna. Può esserci sofferenza e fatica ma è la strada per raggiungere un obiettivo desiderabile.
Privazione come scelta. Quando non c’è scelta consapevole o vengono meno le motivazioni, la privazione si configura come atto di violenza subìta o può degenerare in frustrazione. Tali sono tutte le scelte culturali, politiche e sociali nelle quali il singolo o la collettività vengono privati di diritti o di relazioni ritenute essenziali. E forme di frustrazione inaccettabili le vivono le persone che affrontano privazioni o particolari forme di vita senza aver interiorizzato le motivazioni che le giustifichino. La strada che si apre davanti a privazioni non supportate da forti e credibili motivazioni, oltre alla frustrazione può essere quella del compromesso o della ricerca di surrogati.
Non sempre, come afferma C. Campo, la privazione “è subito nutrimento”. Vi sono privazioni e quindi assenze irreversibili. Vi sono mancanze che lasciano vuoti incolmabili e difficili anche da esprimere con parole. Un esempio. È singolare che la lingua italiana abbia una parola ed un conseguente nuovo status per identificare una persona che perde un coniuge: vedovo/a. Una privazione, come sappiamo, per certi versi reversibile. Non esiste invece una parola per identificare un padre o una madre privati dalla morte di un/a figlio/a o un amico/a dalla morte di un amico/a. Probabilmente l’assenza di un termine è sintomatico della irreversibilità di certe forme di privazione. Puoi tornare a sorridere, a piangere, a dormire, a mangiare, a lavorare, ma nulla è come prima. Sei definitivamente privo.