Il nostro tempo, sedotto dalla velocità e affascinato dal movimento continuo, sembra il meno disponibile a ospitare nel suo vocabolario la parola perseveranza. Tanto più quando si scopre che essa è stata da sempre considerata una virtù. Parola divenuta logora, se non proprio sospetta.
Proprio perché virtù, la perseveranza non va confusa con la testardaggine o con l’ostinazione. Mentre queste infatti si nutrono di orgoglio e di esibizionismo, la perseveranza è l’altro volto della responsabilità, che caratterizza il cammino di chi è intento a mantenere gli impegni presi. Con il suo stile di vita, la persona perseverante dimostra che vi sono progetti e obiettivi per i quali vale la pena spendersi fino in fondo; e che, per raggiungerli, bisogna essere disposti a superare la tentazione, sempre in agguato, di tirarsi indietro.
La perseveranza esige l’abbandono della “sindrome da zapping”, frutto della concezione veloce e frettolosa del tempo. Al contrario essa coltiva – tenendole vive e alimentandole – le motivazioni che hanno spinto inizialmente a mettersi in gioco. Dando ragione a Nietzsche, per il quale “Chi ha un perché per vivere, può sopportare quasi ogni come”.
A darci la misura esatta di ciò che è e di come va vissuta la perseveranza, è la sua stessa etimologia. Derivante dal latino perseverantia, composta da per (a lungo) e severus (rigoroso, forte, duro), la parola perseveranza rimanda all’idea del persistere con tenacia, del durare nonostante fatiche e contrarietà. L’equivalente greco del verbo perseverare è upo-meno (letteralmente, sotto-stare, star-ci), che potremmo tradurre con rimanere saldo, stare con fermezza e costanza, senza arretrare dinanzi alle situazioni e alle vicende della vita.
Particolarmente illuminanti sono le indicazioni contenute nel racconto biblico che ha per protagonista Giobbe. Noto per la sua proverbiale pazienza, il patriarca biblico mostra, in ogni momento della sua tormentata vicenda, perseveranza e fedeltà nei confronti del suo Dio. Perseveranza che non è uno scontato e pacifico sottostare alle avversità della vita. Essa conosce invece momenti di ribellione, di protesta, di lamento e di vero e proprio litigio ((rîb), durante i quali Giobbe arriva ad accusare Dio di essere un aguzzino che spia la sua vittima per farle del male (cfr Giobbe 7,17-20).
Il vero grande nemico interiore della perseveranza veste, di volta in volta, i panni della pigrizia, della poca convinzione e della perdita di gusto del vivere. Alleata invece della perseveranza è la resilienza, che è, insieme, abilità di reagire di fronte agli urti inevitabili di situazioni avverse e spinta a rimettersi in cammino.
Tutti possono nutrire sogni ed attese, ma l’unico modo per dimostrare che in essi si crede è perseguirli con perseveranza, stabilizzando i facili entusiasmi con la razionalità e spendendosi per essi con passione e in maniera responsabile.