Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Pazienza – «La pazienza è ciò che nell’uomo più somiglia al procedimento che la natura usa nelle sue creazioni» (H. de Balzac). Il verbo latino patior (subire, sopportare) e il greco pathein portano a vedere nella “pazienza” la capacità umana di “portare il peso” di un’avversità o di eventi che suscitano spontanea ribellione. Pazienza è quindi calma faticosa, costanza duratura e determinazione ininterrotta. Tutte azioni di segno contrario rispetto alla reazione.
Così intesa, la “pazienza” non è il non fare nulla, in attesa che gli eventi, il tempo o, parafrasando Balzac, la natura facciano il proprio corso. “Pazienza” non è l’altro nome di ignavia, pigrizia, inerzia o fatalismo. A differenza della “pazienza”, queste non contribuiscono a disegnare scenari positivi. Sono solo alibi deresponsabilizzanti. Al contrario, «La pazienza è potere: con il tempo e la pazienza, ogni foglia di gelso diventa seta» (Confucio). Paziente è l’atteggiamento interiore di chi, percorrendo la propria strada, fatica e accetta la propria condizione con animo sereno, aspettando il momento più opportuno per agire e interagire. Certo, i ritmi e le coordinate culturali prevalenti nel nostro tempo, rendono sempre meno facile adottare l’atteggiamento paziente che «la natura usa nelle sue creazioni». Il tempo dell’attesa, normalmente difficile, sembra talvolta addirittura impossibile da sopportare. Si finisce così per dimenticare che nulla accade subito e fuori dal tempo, a cominciare dalla nostra nascita. Purtroppo nella vita ricalchiamo spesso la dannosa ingenuità di chi – pretendendo di aiutare il filo d’erba destinato, col tempo, a crescere per divenire stelo e poi spiga di grano – lo tira in su… sradicandolo.
La pazienza, atteggiamento interiore e virtù, va vissuta ed esercitata prima di tutto nei confronti di se stessi per non lasciarsi demolire e fiaccare dalle inevitabili difficoltà che accompagnano le nostre giornate. C’è una sorta di positiva reciprocità: chi è paziente con se stesso saprà esserlo anche con gli altri. Chi è intollerante con gli altri è in genere impaziente e intollerante con se stesso. Senza che questo possa essere esibito come scusante né tantomeno come atteggiamento positivo Per esempio, dicendo: è vero, sono impaziente con gli altri, ma lo sono prima di tutto con me stesso. Male! e… in entrambi i casi! Perché sempre «Perdere la pazienza significa perdere la battaglia» (M. Gandhi). Certo, per essere vissuta in maniera positiva e operosa, la pazienza deve essere sostenuta dalla capacità di guardare oltre e dalla promessa di un futuro migliore. Senza di queste, la pazienza paralizza e si trasforma in rassegnazione e in sterile attendismo. L’antidoto è un lungo lavoro interiore che richiede tempo perché io possa leggere e rileggere gli eventi, silenzio per saper ascoltare e discernere le contraddizioni, serenità per cogliere spazi e segnali di crescita. Consapevole che «Quando ho piantato il mio dolore nel campo della pazienza, mi ha dato il frutto della felicità» (K. Gibran).
Nostalgia. Abbandonarsi al proprio vissuto – Abitare le parole