Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Non ci riferiamo alla parola paura, che spesso accompagna i nostri discorsi. Quella che esprime più che altro una cortese premura nei confronti dell’interlocutore. Come quando diciamo di aver paura di offendere una persona cara o di non riuscire a soddisfare un suo desiderio.
Qui parliamo del labirinto di paure individuali e collettive che trasforma eventi, circostanze e persone in potenziali attentati per la nostra vita; che arriva a cancellare ogni sentimento di fiducia, trasformando l’altro e la relazione con l’altro in minaccia. Parliamo della paura di vivere in pienezza, di emozionarsi, di coinvolgersi fino in fondo in avventure che esigono impiego di energie, non solo fisiche.
È la paura dalla quale la cultura illuminista prometteva di affrancarci attraverso il sapere. «Sapere aude!» è l’invito di Kant, nel celebre scritto sull’illuminismo. Quella del filosofo di Königsberg e degli illuministi si è subito rivelata una falsa promessa.
Dalla paura non si guarisce finché si è «mortali», ha scritto A. Prosperi nel suo Tremare è umano. Una breve storia della paura.
Credere che il sapere sia il farmaco della paura è la pia illusione di chi tenta di resistere, ad esempio, a ogni forma di populismo. Pur essendo infatti la più elementare delle emozioni, la paura ha la forza di orientare la vita personale, le opinioni e il sentire politico. Lo sanno bene quanti hanno fatto e continuano a fare le loro fortune elettorali alimentando le paure e sono sempre pronti a metterne in circolazione di nuove.
Quel che conta veramente nella paura non sono contenuti o obiettivi ben definiti: neri, zingari, ebrei, omosessuali, donne, ecc. Conta tener desto e alimentare il pavor (paura), derivato dal verbo latino pavere (esser preso da spavento), che fa riferimento alla radice indoeuropea pau- (battere). Probabilmente è il calco del battere dei denti, provocato da una forte agitazione di fronte a qualcosa, avvertito o temuto come invalicabile, o soltanto non sopportabile.
La paura è indifferente al sapere. Su di essa il sapere non può nulla.
La ragion critica, per dirla con Kant, può portare fuori dalle sabbie mobili della paura solo se si accompagna, parafrasando Platone e il suo mito dell’auriga, con la dimensione passionale ed emotiva che caratterizza ogni essere vivente. Per questo, è fuori posto invocare il coraggio come antidoto alla paura, quasi fosse il suo opposto. È della persona coraggiosa mettersi in cammino – non nonostante, ma proprio – a partire da eventuali sentimenti di paura. Meglio se intrapreso in compagnia. Perché la paura è luogo di condivisione, ma anche arma politica.