Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Parola – Dal latino par(ab)ola, più che indicare un determinato termine, in origine “parola” significava genericamente esempio, similitudine o racconto in senso lato.
In linguistica la parola è l’unità isolabile all’interno di una frase e di un discorso, formata da uno o più fonemi e dotata di un senso che le viene dall’atteggiamento di chi la pronunzia e dal contesto nel quale la parola è collocata o viene pronunziata. Se nella tradizione cristiana, la Parola (Logos) è Cristo «Parola del Padre», in genere la parola trasmette una nozione generica, descrive un’azione, esprime un sentimento, comunica una conoscenza. Ma la parola non è solo “informativa”. Vi è anche una parola “performativa”. È quella che, utilizzata in maniera consapevole, genera una realtà o determina una situazione. Come quando una parola viene rivolta a un’altra persona dando forma e comunicando un sentimento, innescando una decisione, facendo nascere o interrompendo una relazione. In maniera decisiva per la vita.
Migliore è la conoscenza e l’uso delle parole, migliore sarà il nostro potere sulla realtà. Sì, perché la parola è potente e rende potenti. Ne era consapevole don Milani, per il quale chi conosce più parole ha uno strumento in più, che spesso si traduce in “potere”. Confermando così quanto aveva scritto la poetessa statunitense E. Dickinson: «Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo, fino a quando non comincia a splendere». È l’esperienza fatta da chi ha visto le parole trasformarsi in arma potente contro il potere. Tanto potente che, durante le rivoluzioni, migliaia di libri contenenti pagine piene di parole sono stati bruciati. Per paura. Non certo per paura delle pagine di carta, ma per paura di ciò che le parole evocavano e delle decisioni che da esse potevano scaturire. Ne sapeva qualcosa, a questo proposito, il sofista Gorgia. Tanto da scrivere: «La parola è un gran signore, che con piccolissimo corpo e del tutto invisibile, divinissime cose sa compiere; riesce infatti e a calmar la paura, e a eliminare il dolore, e a suscitare la gioia, e ad aumentar la pietà».
Leggere un libro di parole o scrivere parole è acquisire e trasmettere conoscenza ma può essere anche un passo decisivo per dire la propria voglia di libertà, di relazioni e di vita. La parola, quella sensata, è in fondo un’impronta che osa disturbare il silenzio o riempire il vuoto per rendere felice o spingere alla disperazione, per insegnare, per condizionare giudizi o decisioni, per mostrare la propria identità.
Un’avvertenza! Parlare è altro dall’“emettere suoni”. La parola autentica nasce dal grembo reso gravido dal silenzio e dal rispetto di sé, degli altri e della verità. «Le parole infatti cantano. Esse feriscono. Esse insegnano. Esse santificano. Esse furono la prima, incommensurabile caratteristica magica dell’uomo. Esse ci hanno liberato dall’ignoranza e dal nostro barbaro passato». (Leo C. Rosten).