Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
«Il saggio si pone ultimo e diviene primo; si tiene fuori ed è al centro, e per questo suo altruismo realizza sé stesso». La sorte che tocca al saggio, come la descrive Tao Te Ching (7), è solo un esempio dei paradossi sui quali si regge la storia. Paradossali sono anche le parole pronunciate da Gesù nelle Beatitudini (Mt 5,1-12). Destabilizzano e vanno in direzione opposta al comune pensare, secondo il quale non è concepibile che miti o poveri possano dirsi beati!
Dal greco παρά (oltre, al di fuori) e δόξα (opinione), la parola paradosso indica genericamente una condizione, una affermazione o un evento non appartenenti, o difficilmente riconducibili, alla diffusa esperienza quotidiana.
In una provocatoria e intellettualmente intrigante rilettura delle Lezioni americane di Calvino, A. Prencipe e M. Sideri ricordano che da sempre la storia si sviluppa tra «leggerezza e pesantezza, rapidità e lentezza, esattezza e determinazione, molteplicità e unicità, coerenza e incoerenza» (L’innovatore rampante, Luiss, 20). Confermando così la comune convinzione che esistono paradossi in ogni ambito del sapere: dai paradossi connessi alla matematica o alla filosofia; all’arte – i paradossi dell’immagine in Magritte o della visione in Escher –, arrivando a quelli legati al mondo economico e politico.
Non sempre però il paradosso ha trovato diritto di cittadinanza. Ha subìto e continua a subire, infatti, un vero e proprio processo di espulsione da parte di chi fa fatica a integrare la vita, quella reale, nel pensiero. Soprattutto quando la vita costringe a prendere atto che di essa fanno parte a pieno titolo la malattia, la morte, la sofferenza inutile, la follia della guerra e l’immane tragedia delle deportazioni!
Gran parte del mondo filosofico e letterario conferma oggi il valore di verità del paradosso, facendone insieme provocazione, metodo di conoscenza e chiave di lettura delle tensioni. Al punto che il paradosso, mentre assicura dinamismo alla storia, apre straordinari e sorprendenti spazi per una vita sempre più inclusiva e per una innovazione sempre più coraggiosa: «Nulla più dell’innovazione è una tensione tra opposti, che sembra irrisolvibile, ma che – ossimoricamente – diventa il lievito del futuro» (L’innovatore rampante, 21). A patto che si accolga la verità del paradosso e la disponibilità a essere «navigatori leggeri nella gravità, esatti nell’indeterminatezza, visibili nell’invisibilità, rapidi nella lentezza, molteplici nell’unità, coerenti nell’incoerenza» (ibidem, 24.).
In tal modo si può trovare, ai margini, «un segno intelligibile che può dar senso al tutto» (E. Montale, Diario postumo).