Oblio

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

Chissà se si tratta di scelta consapevole o di una tendenza irriflessa! Sta di fatto che l’oblio è l’esperienza che, in forme più o meno intense, riguarda tutti: singoli e interi popoli.
Deriva da oblivium la parola oblio. Il lemma latino è composto dalla preposizione ob (verso) e la radice liv, che indica lo scolorire, il perdere chiarezza dei contorni, l’andare quasi verso il buio.
Non ha alcuna consistenza l’equivoco che contrappone l’oblio alla memoria. Sono complementari e necessariamente connessi tra loro. È uno dei paradossi che, in maniera più o meno consapevole, attraversa la nostra vita individuale e quella delle nostre relazioni. Siamo fatti di memoria e di oblio. E, come scrive, Ch. Baudelaire: «Basarsi sui cuori è fatica inutile;/tutto crolla, l’amore e la bellezza/finché l’Oblio li getta nella sua gerla/per renderli all’Eternità!». L’oblio, gettando nella sua gerla delusioni e fatiche, che pure possono aver fatto sanguinare il cuore, e rendendoli «all’Eternità», aiuta a dar loro un senso diverso. Tanto da permettere di riallacciare relazioni e far rivivere emozioni deteriorate per ragioni destinate, col tempo, a sbiadire (oblivium).
Insomma, nonostante l’amara constatazione di quanto rende insopportabili alcuni tornanti della vita, l’oblio può aprire la strada a un nuovo inizio. Negato però al protagonista di un famoso racconto di J. L. Borges (Funes, o della memoria, 1942). Ireneo Funes perde la capacità di dimenticare, e così ogni dettaglio rimane impresso nella sua mente.
Quello che poteva essere visto come un privilegio (ricordare tutto), si rivela presto essere per lui una maledizione. Anzi la forma più alta di disperazione, stando ai «Gradi della disperazione – definiti da E. Canetti -: non ricordarsi di nulla, ricordare qualcosa, ricordare tutto» (La tortura delle mosche, 1993). Ireneo, insomma, non può scegliere. Non può selezionare. Non può dimenticare.
L’allucinante situazione descritta da Borges porta lo scrittore argentino a considerare l’oblio una necessità salutare per la vita, piuttosto che un difetto della memoria. Una pura memoria, senza il filtro dell’oblio, diventa un ostacolo a una vita vissuta con equilibrio e rispettosa della dignità umana. Con la sua assoluta onnipresenza, la memoria impedisce la possibilità di reinventarsi e, per dirla con Dante, non permette di attraversare l’acqua del fiume Lete «Che toglie altrui memoria del peccato» (Purgatorio, XXVIII, 127).
È in questo contesto che vanno collocati sia l’aristotelico «patto dell’oblio» (La Costituzione degli Ateniesi, 39, 6) sia il più recente «diritto all’oblio».

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