Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Nell’uso della parola moda, non è difficile incontrare chi, con la sufficienza dei benpensanti e con ingiustificato intellettualismo, accomuna la parola moda a provvisorietà e a mancanza di durata nel tempo, a omologazione e ad assenza di originalità.
Eppure, basterebbe andare oltre i luoghi comuni per scoprire tutta la ricchezza della parola moda, che si esprime attraverso l’incessante produzione di forme sempre nuove. Grazie alle straordinarie energie intellettuali ed emotive impiegate. È tutto questo che dà alla moda la dignità di vera e propria arte; fino a giustificare l’affermazione che il look non è, necessariamente, solo e sempre apparenza. È un universo immaginario e reale. Capace di raccontare chi siamo e per cosa vogliamo essere riconosciuti.
La moda è luogo nel quale l’homo faber non solo trasforma la materia esistente, ma si cimenta egli stesso nel crearla. Si pensi a tutta la ricerca sulla sostenibilità delle materie prime per confezionare articoli di moda. Tali da far guadagnare ai protagonisti il rango di veri e propri artisti, che esaltano la bellezza della materia, mostrano la grazia delle forme e sorprendono per la genialità delle soluzioni.
E questo non è vero solo per l’arte moderna e contemporanea. E non è vero solo per l’arte del vestirsi. Anche se quest’ultima è caratterizzata da una maggiore capacità di evolversi e da una più evidente forza di sorprendere. Riuscendo a far incontrare mondi solo apparentemente distanti tra loro. Come, ad esempio, il mondo della moda e quello del sacro. Due potenti catalizzatori di riti contemporanei (vedi il teologo domenicano A.F. Ambrosio, autore di Dio tre volte sarto: moda, Chiesa e teologia).
Basta ricordare, a questo proposito, le sorelle Fontana che, nel 1956, realizzarono il “Pretino”: una veste talare indossata dall’attrice Ava Gardner; con cappello da monsignore e una maxi-croce di perle al collo. Ma anche Fellini che prima veste con abito stile pretino Anita Ekberg ne La dolce vita e poi propone la famosa scena della sfilata ecclesiastica nel film Roma (1972). Con ogni probabilità in polemica con una Chiesa che non accompagna la povertà predicata con una sobrietà praticata.
L’incontro tra moda e sacro non può aprire però la strada a una religione estetica. Anche se questa gode da più parti – non escluse alcune frange interne alla stessa Chiesa – di un’attenzione sospetta e strumentale, portando «a rifugiarsi nella persistenza delle forme, rintanarsi nel surrogato di una bellezza museale e consolarsi con la complicità di un mondo che della religione ignora la profezia e disdegna la giustizia, ma copia il fascino e assume l’estetica» (G. Zanchi).