Maturità

Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole

«Ripeness is all» («La maturità è tutto»), dice Edgar al padre cieco e disperato nello shakespeariano Re Lear (Atto V, sc. II). Una convinzione appartenuta in maniera convinta anche a Cesare Pavese, che la scelse come epigrafe del suo La luna e i falò. Per il drammaturgo inglese e per lo scrittore italiano la maturità è lo stadio interiore, intellettuale, affettivo ed anche fisico, che si raggiunge attraverso un consapevole, arduo, lento e, spesso, sofferto cammino verso la verità. Verità di sé, prima di tutto; e verità della storia nella quale si è inseriti, fatta di relazioni e di progetti non sempre facili da identificare e da realizzare.
Elementi a conferma di questo modo d’intendere la maturità ce li offre la derivazione etimologica del sostantivo maturità e dell’aggettivo maturo. Maturus è ciò/chi è pronto, che ha raggiunto il momento giusto. La radice indoeuropea (ma), che entra nella composizione della parola maturità, apre anche al significato di misura e di tempo buono, favorevole, prospero.
Non vi è legame cogente tra il raggiungimento della maturità e l’età della persona né vi è una necessaria corrispondenza tra la maturità e l’evoluzione o decadenza del suo corpo. La condizione di maturità personale, ma anche nei rapporti sociali, non conosce un punto di arrivo definito, che non preveda altri passi da fare, altre energie da investire e altri obiettivi verso cui tendere.
In questa concezione dinamica e apparentemente sfuggente della maturità sta tutto il suo fascino, la sua sfida, ma anche tutta la fatica richiesta per raggiungerla. Maturo può essere solo chi è disposto ad abbandonare la fase narcisistica, che lo tiene prigioniero impedendogli di sviluppare il bisogno di accogliere in sé e nella propria storia altre offerte di vita. Fatte di relazioni nuove, di affetti non programmati, di tenerezza rigenerante, di possibilità inedite, di generosità gratuita.
La persona matura vive nella consapevolezza che persona si nasce, ma persone mature si diventa. Non certo per accumulo di esperienze. Queste, come tutto ciò che ci viene dal flusso della storia, delle relazioni e della tradizione in cui siamo inseriti, contribuiscono a renderci maturi solo nella misura in cui vengono interiorizzate. “Maturità – ha annotato Pavese nel suo diario – è questo: non più cercare fuori ma lasciare che parli col suo ritmo, che solo conta, la vita intima” (Il mestiere di vivere, 6 dicembre 1938).
È l’interiorizzazione che spinge con forza alla responsabilità nei confronti di sé stessi e della vita degli altri. Maturità e assunzione di responsabilità crescono insieme. Responsabilità non titanica, ma umile. L’umiltà della quale parla lo psicoanalista austriaco Wilhelm Stekel, in una frase trascritta sul biglietto che il professor Antolini consegna allo sconvolto Holden: «Ciò che distingue l’uomo immaturo è che vuole morire nobilmente per una causa, mentre ciò che distingue l’uomo maturo è che vuole umilmente vivere per essa» (J.D. Salinger, Il giovane Holden).

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