Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Legalità – Dal latino legalis – a sua volta derivato da lex (legge) – la legalità è l’osservanza delle leggi che regolano la vita civile in uno Stato di diritto. La cultura e la prassi, non solo contemporanee, autorizzano a porsi domande decisive. Per esempio: sempre e comunque è richiesto il rispetto delle leggi formulate dal legislatore? Anche a prescindere da ciò che è “giusto”? Si può, in nome della giustizia, violare leggi formulate dal governante di turno? Chi definisce ciò che è giusto fino a proporlo come criterio ultimo per l’osservanza della legge? Queste domande hanno impegnato filosofi, politologi e anche teologi. Una drammatica ed esemplare tragedia greca, attraverso la scelta coraggiosa della giovane Antigone, offre elementi per rispondere a queste domande. E nello stesso tempo consegna un impegno a tutti. Nella sua opera, Sofocle racconta di Antigone (V secolo a.C.) che decide di dare sepoltura al cadavere del fratello Polinice contro la proibizione di farlo grazie a una legge emanata da Creonte, re di Tebe. Scoperta, Antigone viene processata e condannata a vivere il resto dei suoi giorni imprigionata in una grotta.
Antigone sceglie drammaticamente ma apertamente l’illegalità appellandosi a leggi più alte e non scritte. Parole straordinariamente intense poste sulla bocca della giovane Antigone valgono più di ogni ragionamento. «Creonte non ha il diritto di separarmi dai miei […]. Non credevo che tu arrivassi con i tuoi divieti ad andare contro le leggi degli dei, leggi che non da oggi, non da ieri, vivono, ma sono eterne. Potevo io, per paura di un uomo, dell’arroganza di un uomo, potevo venire meno a queste leggi? […]. Io esisto per amare, non per odiare».
Le motivazioni addotte da Antigone ricalcano quanto già Aristotele aveva scritto nella Politica (1253a): «L’uomo è animale socievole […]. È l’unico animale ad avere nozione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto». L’uomo è in grado cioè di coltivare le ragioni sulle quali si radica la legalità ordinata al Bene comune. Le stesse ragioni che giustificano il sacrosanto istituto dell’obiezione di coscienza.
Le leggi emanate dal Parlamento dovrebbero sempre nascere come strumento regolatore del “giusto”. Lo Stato è chiamato ad essere il primo garante di leggi giuste, praticando i comportamenti corretti esigiti dai cittadini. D’altra parte il cittadino può reclamare i propri diritti quando ha assolto i suoi doveri. In questa stessa linea si pone un testimone della legalità radicata sulla giustizia quando scrive: «La legalità, per essere strumento di giustizia e non solo di potere, presuppone relazioni fondate sulla prossimità, ossia su qualcosa che non si può apprendere “per legge”. […] La legge non può insegnare la prossimità, l’accoglienza, l’amore. Qui entra in gioco qualcosa che abita la profondità e il mistero dell’animo umano, ben oltre le logiche del divieto e della prescrizione» (L. Ciotti).