Ci sono notizie che sembrano incaricarsi di metterci di fronte al dovere di non accontentarsi delle risposte buone per tutto e dei luoghi comuni di facile consumo, imponendo di capire meglio, di lasciare che la nostra coscienza si interroghi liberamente. A ben vedere, ormai la cronaca ne è prodiga, anche per un diffuso stile nella comunicazione assai spesso emotivo nel riferire i fatti insistendo sugli elementi che più facilmente possono far presa sulla curiosità o le nostre reazioni elementari invitandoci a sostituirle a un ragionamento documentato e senza preconcetti. Un approccio meno sbrigativo si rivela invece indispensabile quando l’attualità ci sottopone eventi sui quali è impossibile per chiunque calare l’ascia di un giudizio senza sfumature.
Di questa categoria fa certamente parte la vicenda di Alfie Evans, il bambino inglese di quasi 2 anni, da tempo ricoverato in un grande ospedale pediatrico di Liverpool per i sintomi ancora inspiegati di una malattia neurodegenerativa sconosciuta. Per l’opinione pubblica italiana questo piccolo malato in attesa di una diagnosi e dunque di una terapia adeguata sembra apparso da un giorno all’altro con un fardello pesantissimo di domande etiche, scientifiche, giuridiche e soprattutto umane, ma il suo caso non è del tutto nuovo né sorprendente. ….
Testo completo – Il Sole 24 Ore – Editoriali e commenti – 28 aprile 2018, pag. 6