Indifferenza

Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole /  Indifferenza.
A un passo dal Nichilismo.
L’equivalente greco dell’indifferenza è l’adiaphoría, ideale etico dei Cinici, degli Stoici e di alcuni indirizzi ascetici. Non provare desiderio né repulsione per alcunché è ritenuto, da questi, via alla vita perfetta e strada sicura per la felicità. Sicché l’indifferenza è conquista auspicabile e sintomo di umanità piena. A differenza di quello che afferma Bernard Shaw: “l’indifferenza è l’essenza della disumanità”.
Sul versante etimologico – derivata dal latino indifferentia, composta da in (non), dalla particella dis (che indica separazione) e dal verbo ferre (portare) – l’indifferenza è letteralmente il non far differenza e, di conseguenza, non decidere e non scegliere fra persone, cose o idee.
Nella relazione tra persone, luogo e incontro delle differenze, l’indifferenza si esprime come distacco emozionale tra sé e gli altri; come non curanza, freddezza, apatia e assenza di ogni comunicazione. Così l’indifferenza è più forte, dolorosa e pervasiva dell’odio. Essa infatti paralizza del tutto il flusso della vita e cancella l’altro dall’orizzonte della mia vita e dei miei sentimenti. Fossero anche sentimenti negativi. Insomma, se “Il desiderio è metà della vita – come ha scritto K. Gibran – l’indifferenza è già metà della morte”, o peggio, “è una morte prematura” (A. Cechov).
C’è una indifferenza che non è frutto della percezione negativa dell’altro; che non è uno scudo a tutela della propria integrità. È lo stato d’animo che sviluppano coloro cui fa difetto il senso di appartenenza e qualsiasi forma di progettualità. È l’indifferenza di chi ha paura di morire di …responsabilità; di chi sceglie di restare in disparte, assiste a debita distanza e, semmai, demonizza e delegittima chi sceglie di partecipare schierandosi. Sono, in parte, le dinamiche che attraversano la nostra società e che sono presenti ne Gli indifferenti di Alberto Moravia. Le stesse che rendono i componenti della famiglia Ardengo, protagonisti del romanzo, arrendevoli, incapaci di raccontare qualcosa di vitale, pronti a sposare soluzioni semplicistiche e contraddittorie.
L’indifferenza può solo generare ed è generata da pigre ideologie che portano dritto al nichilismo e al fatalismo. Come nello spettacolo di Pablo Solari (“L’indifferenza”), l’indifferenza diviene lo strumento più adatto per arginare ciò che non si vuole vedere e per non sentire l’ingombrante presenza degli altri, che costringe alla “restrizione”. “Quando si ama c’è sempre una restrizione, ma per fare posto all’altro. Bella la restrizione se è restrizione d’amore” (A. Casati).
La più grave forma di indifferenza è lo sguardo abbassato. Eppure ci stiamo abituando. E la vergogna delle vergogne è che non ci sia un sussulto, un moto di indignazione e di ribellione per questa indifferenza che svela l’abisso del disprezzo e svela un decadimento inquietante dell’umanità. Tanto da far dire a M. Luther King: “Più che per la repressione, soffro per il silenzio del mondo”.

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