Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Uno sguardo ai termini in uso nelle lingue, greco antico e latino in particolare – riferimento semantico ed etimologico per buona parte delle parole che utilizziamo – permette di cogliere in maniera più piena il senso della parola “imbarazzo”. Άμηχᾰνία e ἀπορία sono i termini con i quali il greco antico rende l’italiano imbarazzo. Entrambi contribuiscono a ravvisare nell’imbarazzo il senso di disagio vissuto da chi percepisce intorno a sé mancanza di approvazione nei confronti di una propria parola o di un proprio gesto. Il latino è molto più immediato. Ricorre infatti ai termini impedimentum o difficultas per sottolineare la situazione psicologica di impaccio dovuto a un’azione o ad una parola ritenuta non rispondente alle attese di chi osserva.
Riferimento etimologico certo della parola imbarazzo è lo spagnolo embarazo (verbo embarazar) che arriva, a sua volta, dal portoghese embaraçar (allacciare, ostruire, impacciare). Barazo è laccio/cinta/impedimento che rende faticoso il muoversi liberamente. Interessante è notare che “embarazada”, in spagnolo, è la donna incinta. La parola fa riferimento sia al suo essere impedita a muoversi con agilità perché in stato di gravidanza, sia al vestire senza cinta (in-cinta) della embarazada per stare più comoda.
Il passaggio dal piano etimologico a quello più strettamente semantico lo affido a La pubertà di E. Munch. Il carattere strettamente intimo dell’imbarazzo che prova l’adolescente, dipinta dal venticinquenne pittore norvegese, emerge con chiarezza già dalla collocazione della protagonista: in una camera da letto, il luogo più privato per una persona nella sua casa. È nuda, sola con la sua ombra; postura rigida e mani che cercano di coprire la nudità. Tutto trova completamento nell’uso di colori scuri e pesanti, al limite dell’angosciante. Pur stando sola nella sua stanza, la ragazza sta comunque vivendo una emozione psicologica e sociale. Il suo imbarazzo è una forma di controllo sociale interiorizzato. A provocarlo è il sentirsi addosso gli occhi di quelli che sono fuori da quella camera e al tempo stesso percepirsi disallineata rispetto alle loro attese; quindi, passibile di riprovazione. Lo sguardo timido e le mani tese a coprire la propria nudità sono modi non verbali di scusarsi. Analizzando le dinamiche che accompagnano le manifestazioni di imbarazzo, bisogna aggiungere che, in genere, agli occhi degli osservatori, chi prova e manifesta imbarazzo appare, in fondo, come una persona desiderosa di rispettare le norme sociali comunque interiorizzate. È, per questo, una persona di cui ci si può fidare. «Vuoi accattivarti la sua simpatia? – scrive Nietzsche – Mostrati imbarazzato dinanzi a lui». L’imbarazzo infatti esprime, nello stesso tempo, consapevolezza di una propria mancanza e disagio per non aver tenuto in conto valori o persone importanti per la propria vita. Quando questo atteggiamento costituisce una sorta di seconda pelle, vuol dire che ci si è inconsciamente sottoposti, nel bene o nel male, a una sorta di tirannia del consenso e dell’approvazione.