In un clima di dichiarazioni ufficiali, spesso e frettolosamente smentite o, peggio, camuffate e poi riprese; nel frastuono di veti incrociati, veri o presunti, e di tattiche sornione, torna ad imporsi lo stile, la proposta politico-culturale e la verità di uno statista tanto evocato in questi ultimi mesi, Aldo Moro. Affermava con una naturalezza disarmante: “Quando si dice la verità non bisogna dolersi di averla detta. La verità è sempre illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi”.
Se figure come La Pira e De Gasperi si riconoscono per coerenza e passione, quella di Moro si distingue per il coraggio.
Non solo il coraggio mostrato e messo alla prova durante gli ultimi 55 giorni della sua vita, ma il coraggio della verità ed il coraggio del cambiamento, anche se non a tutti costi e contro chiunque. Coraggio soprattutto nel cogliere i segnali di novità che gli venivano dal contatto con i suoi studenti in cerca di maestri, di verità, di conoscenze (oggi sempre più malcelate in competenze) e di parole che orientino. Coraggio per scelte meditate e necessarie. Un coraggio che traspare anche nella visione che egli ha del suo partito. “Un partito che non si rinnovi con le cose che cambiano, che non sappia collocare ed amalgamare nella sua esperienza il nuovo che si annuncia – ebbe a dire una volta – viene prima o poi travolto dagli avvenimenti, viene tagliato fuori dal ritmo veloce delle cose che non ha saputo capire ed alle quali non ha saputo corrispondere”. …
Testo completo – Il Sole 24 Ore – Editoriali e commenti – 2 giugno 2018, pag. 8