Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
C’è senza dubbio un prima e un dopo l’avvento dell’era social. Anche quando ci si mette alla ricerca del significato di alcune parole. Compresa genuinità e il suo derivato genuino/a. Sia che si riferiscano a un prodotto sia che riguardino la persona.
È certamente cresciuto il favore riservato a un prodotto pubblicizzato come genuino. Come pure è più alto il tasso di credibilità riconosciuta a una persona della quale si percepisce la genuinità, che si manifesta attraverso i sentimenti che l’animano e gli atteggiamenti, di conseguenza, messi in atto.
Ciò fa della genuinità una dimensione della persona, ma anche una capacità empatica. Partendo da condizioni personali innate e grazie a una positiva interazione con chi e con ciò che la circonda, essa può crescere e affinarsi. Ma può anche deteriorarsi.
Sgombrate false apparenze, la genuinità è l’intimo atteggiamento che permette il nascere e lo svilupparsi di relazioni basate sul reciproco leale riconoscimento.
Nonostante questo, bisogna ammettere che la parola genuinità, soprattutto riferita alle persone, resta piuttosto vaga e perde la chiarezza di significato che aveva in origine. Sembra infatti che il termine genuinità sia legato a un rito praticato nell’antica Roma. Qui, prima di essere pubblicamente accolto come figlio, il neonato doveva essere riconosciuto tale dal padre. Deposto ai suoi piedi, il figlio veniva accolto come tale nel momento in cui il padre, sollevatolo in alto, lo poneva sulle sue ginocchia (in latino genu).
A questo rito sembra far riferimento anche il verbo latino gignere (generare). Il riferimento al rito di riconoscimento in uso nell’antica Roma e, per estensione, al verbo gignere, fa ritenere genuino, ancora oggi, tutto ciò che ha una origine certa. È autentico, non sofisticato, non adulterato, schietto. E per questo genera fiducia e merita accoglienza.
Non ci vuole molto per capire quanto particolarmente facile sia, al tempo dei social, attribuirsi e attribuire patente di genuinità; e quanto difficile sia diventato verificarne la veridicità. L’autenticità, da quella reale a quella percepita e messa in scena, cattura attenzione emotiva e consensi non sempre giustificati.
Le difficoltà si moltiplicano quando si tratta di riconoscere la genuinità di pensieri e sentimenti. Qui la genuinità può facilmente corrompersi. Come avviene tutte le volte in cui pensieri, sguardi e sentimenti sono funzionali al raggiungimento di fini non dichiarati. O come quando, per orientare la costruzione della versione più spendibile di sé o di un prodotto, entrano in campo gli algoritmi che guidano piattaforme, agenzie pubblicitarie e brand.